tag:blogger.com,1999:blog-51797375152031178882024-03-13T16:56:00.601-07:00A R C H I V I E W
A R C H I V I E W
di Sergio Stenti
sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.comBlogger24125tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-68134565317450598192013-12-07T14:14:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.716-08:00Progettare per insegnare a progettare<div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">L’università riformata è giunta ora a compimento, e mentre ancora si discute di quale sia il bilancio della penultima riforma, quella Berlinguer del 1999, già iniziano le scommesse sulle conseguenze dell’attuale riforma Gelmini: cosa cambia e per chi. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">La riforma Berlinguer era nata per rispondere meglio alle nuove esigenze del mercato che richiedevano titoli intermedi oltre la tradizionale, laurea quinquennale; l’invenzione del 3+2 prevedeva una laurea triennale, completa ma generalista, e un biennio di specializzazione a orientamento professionalizzante.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ciò sembrava incontrare le richieste del mondo del lavoro in un orizzonte di sviluppo dell’economia; ma né il mercato né l’economia si sono evolute in questo senso e nemmeno l’università ha fornito quelle lauree professionalizzanti che si prevedevano.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"> Nel 2010 la riforma Gelmini ha invece agito sulla struttura dell’università con lo scopo di una maggiore efficienza, risparmio dei costi e razionalizzazione dell’offerta formativa. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Mentre la vecchia organizzazione in Facoltà e Senato accademico è stata ristrutturata in modo dirigistico, quasi nessuna modifica è stata proposta sul piano dei contenuti della formazione se non una scarsa premialità (10% del FFO) per la ricerca, da assegnarsi all’Ateneo e non al singolo ricercatore. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Unificata positivamente didattica e ricerca dentro i nuovi Dipartimenti, è stato assegnato al nuovo organo interno Anvur il controllo di qualità per la sola ricerca mentre nessun tentativo è stato fatto per la qualità della didattica.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Appare evidente, dall’enfasi messa sulla ricerca, il desiderio, più ideologico che concretamente organizzato, di incentivare una attività collaterale come la ricerca che è la parte debole della formazione. Ma, dimenticando di valutare la didattica, si continua a sottovalutare che il compito principale dell’Università è quello di formare laureati qualificati e non conseguire brevetti, attrarre finanziamenti per ricerche applicate e pubblicare articoli su riviste scientifiche accreditate. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Questa impostazione appare intrisa di molta retorica: basti pensare alla scelta di mantenere il valore legale del titolo di studio che, equiparando e rendendo identiche buone e cattive facoltà, non premia né la ricerca né il merito. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Sarebbe anche opportuno fare un po’ di chiarezza sulle specificità delle attività di didattica e di ricerca, sui loro differenti obiettivi che, è bene ricordarlo, non sono uguali o facilmente sovrapponibili: la didattica richiede coordinamento funzionale e aggiornamento per migliorare le chances di lavoro dei laureati; la ricerca chiede sostegno e organizzazione per competere con altri centri di ricerca e attrarre finanziamenti esterni. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">L’istituzione dell’Anvur è un lodevole passo in avanti per portare la valutazione della ricerca ad incidere sullo sviluppo dell’Università sia migliorando i docenti sia migliorando gli atenei. Potrebbe essere l’inizio di un processo di valutazione che conduca oltre il livello dell’auto-valutazione e ci avvicini ai valori concreti espressi dal mercato internazionale della formazione. Sarebbe necessario però superare almeno la composizione tutta accademica dell’Anvur ed aprirla a valutatori esterni. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"> Ora, in un quadro generale che vede la riduzione dei fondi, la contrazione dei docenti per un sostanziale blocco del turn over e non aggiornamento delle conoscenze, sparuti incentivi alla trasformazione e perdita di valore della laurea, ci vorrebbero riforme meno retoriche e più realiste per migliorare l’università e farla avanzare di qualche posto nel ranking internazionale dove il primo ateneo italiano , Bologna, si situa al 195° posto. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><i><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Architettura come scuola <o:p></o:p></span></i></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Le scuole di architettura soffrono innanzitutto di un gigantesco affollamento di laureati che è andato oltre ogni ragionevole rapporto tra domanda e offerta e che ha cominciato a farsi sentire nel calo delle immatricolazioni scese in otto anni del 15%, e dovute a diminuzione di occupazione e riduzione di guadagni (140.000 iscritti agli Ordini, più del doppio della media europea). Continuiamo comunque a laureare circa 6000 architetti l’anno nonostante l’alta percentuale di abbandoni scolastici (circa il 30% degli immatricolati) . <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ogni ateneo ha introdotto la formula del 3+2 in modo diverso senza rispettare l’impostazione originaria della riforma (un solo triennale di base con molte specializzazioni biennali) e spesso senza eliminare il tradizionale corso quinquennale che è frequentato solo dal 25% degli studenti italiani (il 75% frequenta il 3+2). Pochissimi si fermano alla triennale, l’85% continua con le specialistiche per completare gli studi, dimostrando che l’assunto della riforma Berlinguer che il titolo triennale ( più un diploma che una laurea) serviva per coprire posti intermedi nel mondo del lavoro, non si è verificato. Salutari esperienze pratiche, durante la laurea, introdotte con i tirocini esterni hanno avuto grande successo, anche se il monte ore ad essi riservato ( 150/200 ore in cinque anni ) potrebbe utilmente essere aumentato. Non sono stati previsti, cosi come per altre professioni, tirocini obbligatori post laurea per l’iscrizione agli Ordini, lasciando inalterato, anzi incredibilmente complicandolo, l’inutile e vessatorio esame di stato. Sul rapporto poi tra valore legale del titolo di studio ed esame di stato ci sarebbe anche da capire a cosa serve mantenere entrambe le condizioni per la professione che, notoriamente, non verificano le conoscenze minime del mestiere. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Infine il terzo livello di formazione, masters e dottorati, a parte alcune eccellenze, soffre di poca specializzazione e di poca partecipazione (per entrambi la percentuale di laureati frequentanti è ad una sola cifra, 7/9 %) e non sembra migliorare le possibilità occupazionali . Soprattutto i dottorati soffrono per diminuzione delle borse di studio e per un uso del titolo ridotto solo al campo accademico. Queste specializzazioni post laurea infatti non sono ancora riconosciute come titoli qualificanti nel mondo del lavoro come invece succede dovunque in Europa. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><i><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"> La formazione <o:p></o:p></span></i></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"> I punti deboli dell’attuale formazione possono essere sintetizzati in tre parole: generalista, professionalizzante e incompatibilità.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">La formazione non è chiaramente impostata su una delle due scelte, generalista o professionalizzante, non riuscendo quindi a guadagnare i meriti e ridurre gli svantaggi di entrambe. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Nella grande maggioranza prevale un orientamento generalista frutto di una tradizione culturale che in passato ci ha consentito grandi vantaggi, ma che oggi, per le (ex) facoltà professionali, non è più sufficiente.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ma cos’è una formazione generalista? Una formazione non specialistica, dove viene data importanza ai “fondamentali” come nella tradizione umanistica, ma che non qualifica per il lavoro e che necessita di ulteriore apprendimento: il terzo livello universitario. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Una formazione siffatta può produrre un laureato colto ma non può produrre una figura tipo “coordinatore della progettazione” che anzi richiederebbe, in un team progettuale, larghe competenze più che ampia cultura. Salvo che non si ritenga che il lavoro progettuale inizi e finisca con l’elaborazione del "concept" demandando ad altri lo sviluppo esecutivo.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">La formazione professionalizzante è invece più chiaramente orientata al mestiere e alla sua pratica, con uno spostamento della figura dell’architetto: da creatore unico a collaboratore in gruppo. Nel rapporto cultura umanistica saperi tecnici lo sbilancio dovrebbe andare all’acquisizione di competenze per il mestiere e in questa logica si dovrebbe lasciare al terzo livello, al dottorato di ricerca, il compito di un’acquisizione critica, di alto livello, delle conoscenze. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il progetto di architettura, lo specifico architettonico è sempre stato l’opera e non il saggio scritto; non gli articoli ma i progetti ne sono, infatti, lo agire più importante ed è evidente che il centro della sua formazione deve essere rappresentato dalla capacità di saper progettare e di farlo in team. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Infatti, è nel progetto che la ricerca in architettura trova il suo fondamento e il suo scopo. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ma si può imparare a progettare con docenti che non hanno mai costruito nulla o calcolato nessuna struttura statica antisismica ? <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Sembra un paradosso del nostro sistema universitario il cui fine, mettere tutte le energie della docenza al servizio dell’Istituzione, si è ribaltato nel suo opposto, un invecchiamento delle conoscenze e delle competenze. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"> Nell’Università i docenti che fanno professione sono considerati insegnanti di serie B e non fanno carriera, non accedendo ai ruoli dirigenziali; le loro opere, infatti, non sono valutate come ricerca e costoro sono messi ai margini della “governance”. <span style="color: #0070c0;"><o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Si assiste purtroppo alla svalutazione di ciò che è il focus della formazione, la qualità del progetto architettonico inteso come luogo privilegiato d’incontro collettivo tra la didattica e la ricerca applicata. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">C’è una tendenza di pensiero accademico che ritiene che tutte le discipline siano quasi sullo stesso piano, uguali ed equipollenti e che tutte formano in ugual modo l’architetto. Tale tendenza ha spodestato il progetto di architettura dalla centralità della formazione, e ha facilitato la sua sostituzione con un diverso concetto di progetto, il progetto tecnologico.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Perdendo la centralità del progetto, la formazione si è come liquefatta suddivisa in tante sub-discipline che non restituiscono quella ricerca di senso che ha sempre caratterizzato il progetto architettonico. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il vecchio tripode della formazione, progetto, storia e struttura che sosteneva la gerarchia degli studi fino a qualche decennio fa, è poi diventato quadripode, con l’aggiunta di tecnologia, eterea ed evanescente materia nata da una costola di tecnica delle costruzioni.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ma, svincolatasi successivamente da ogni fedeltà storico-critica relativa al mondo delle costruzioni e liquefattasi nell’Università ogni gerarchia contenutistica, la tecnologia ha intercettato la pretesa contemporanea della “tecnica” di scrollarsi di dosso ogni scopo esterno a se stessa. Cosi, accogliendo tutte le istanze di ammodernamento prodotte dal mercato e dal sociale e legate alla sostenibilità ambientale ed energetica, il sapere tecnologico si propone come autonoma progettazione tecnologica. Da mezzo si sta trasformando in scopo secondo la classica eterogenesi dei fini. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">D’altro canto una riflessione sulla divisione in tante sub discipline in cui si è frantumato il sapere architettonico oltre il tripode tradizionale, sarebbe quanto mai utile per ripensarne i contenuti. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ciò che emerge nella formazione attuale è, infatti, una certa indifferenza alla ricerca di senso dell’architettura, ai rapporti tra contesto, costruzione, linguaggio e uso che l’ha caratterizzata fino ad ora. E tale condizione, che oscura le domande sul valore civile che essa dovrebbe e potrebbe svolgere, è facilitata anche dall’impossibilità di sperimentare ciò che si progetta: <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">L’incompatibilità tra insegnamento e professione, infatti, blocca ogni avanzamento culturale dei docenti e ogni miglioramento della formazione. Enti europei come l’Unesco e l’Uia hanno sentito il bisogno già nel 2000 di raccomandare alle università di selezionare docenti di architettura che abbiano uno stretto contatto con la pratica professionale ovvero una solida esperienza</span><span lang="IT">.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Codificata nel 1996 ma iscritta da tempo nelle nostre leggi come obbligo per tutti i dipendenti pubblici con punizioni e sanzioni ai trasgressori, l’incompatibilità è una vecchia ideologia statalista che vede il privato come possibile corruttore degli interessi collettivi che l’Università rappresenta. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il paradosso dell’incompatibilità è che un’esigenza conclamata nel clima sessantottino della lotta al professionismo, contro la “riduzione culturale” come si diceva allora, si sia ribaltata nel suo opposto, bloccando ogni sviluppo e aggiornamento dei saperi accademici.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Renato Nicolini sosteneva che gli unici movimenti di riforma dell’Università erano stati due. La contestazione del 1966, sfociata poi nel ‘68, e la Tendenza nel 1980, che inventò il rapporto morfologia tipologia e l’architettura della città contro le fughe nella grande dimensione o nella tecnologia. Eppure questi movimenti hanno finito per incoraggiare una deriva anti-professionale che alla fine ha ribaltato quelle richieste culturali nel loro opposto: paralisi e declino dei saperi accademici con esaltazione dello scrivere piuttosto che del progettare e del costruire.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Per arrestare un declino di contenuti che acquista velocità ad ogni riforma governativa che vuole regolare dall’alto, con centralismo e dirigismo e senza incentivi, tutte le diverse discipline dentro le Università, si dovrebbe sperimentare un qualche modo per rendere centrale e collettivo il progetto di architettura.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"> Tra le tante ipotesi possibili, la soluzione dell’intra-moenia (come per i medici) potrebbe essere un passo su cui val la pena interrogarsi. Una progettazione interna alle ex Facoltà, regolata e calmierata, in grado di competere con gli studi privati nelle commesse pubbliche.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;"><i>(E-journal, n. 16/2013 pag.80-87 , www.uam-productions )</i></span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><br /></div><br /><div class="MsoNormal"><br /></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-16714998710461761072013-04-02T14:31:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.730-08:00Lungomare e Plebiscito una questione di vuoti<br /><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Da alcuni giorni, da quando le auto hanno ricominciato a percorre via Caracciolo mi si riaffaccia la domanda su quale destino sia riservato al nostro lungomare. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Mentre si rivede il mare dall’auto insieme all’invasiva scogliera alla rotonda Diaz con pochi joggers e ciclisti che usano i marciapiedi e la pista, non sembrano passati i quasi due anni dal giorno del “sequestro” o della “liberazione”, secondo le opinioni, del lungomare: tanto è calzante, piacevole e tradizionale percorrere via Caracciolo con l’auto fosse anche solo per poco tempo. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ma presto, almeno cosi ci si augura, riparati i danni agli edifici della riviera, rimessa in moto la macchina della Metropolitana, per completare quella linea 6 che ci siamo lussuosamente concessi, passata anche la seconda tappa della Coppa America, con la sua rutilante invasione mediatica, chissà se via Caracciolo tornerà come prima, prigioniera di una ideologia che non si fa azione ma solo interdizione. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il Comune, in quasi due anni, non è riuscito a proporre nulla, non dico un progetto ma nemmeno un’idea per la trasformazione di questo splendido luogo. Il suo compito si è limitato a quello di togliere le auto, ritenendo che quest’azione avrebbe magicamente dato nuovo senso al lungomare e filo da tessere ai sostenitori ambientalisti. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ma un boulevard alberato come poteva acquistare senso se gli si toglieva l’anima che lo teneva in vita?<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Eliminando proprio quelle auto che ne sono la sua ragion d’essere, gli si è inflitta una seria menomazione: lo si è svuotato, devitalizzato e in fin dei conti privato anche di parte della sua bellezza. Togliendo la funzione per cui era nato, l’essere parte di un lungomare da Mergellina a Castelnuovo, quel tratto sequestrato è rimasto solo forma vuota, disponibile a tutti gli usi come una specie di terra di periferia, ogni tanto animata e vitalizzata da eventi con lunapark ,chioschi e feste. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ma in questo caso il tentativo sperimentale di sostituzione di funzioni , da boulevard a spazio pedonale, non poteva dare gli esisti sperati: un boulevard non si presta alla semplice pedonalizzazione e non è una questione di asfalto ma di dimensione e di funzione. Un boulevard collega parti urbane, è un continuum, e sequestrare una sua parte, interromperlo brutalmente, modifica l’intero percorso stradale. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Basta provare a guardare le foto pubblicitarie delle agenzie turistiche che propagandano su internet il lungomare per rendersi conto che quelle immagini, per un napoletano, sono fuori dell’ordinario, sembrano scatti fatti dopo uno sciopero generale o dopo una qualche catastrofe: strade incomprensibilmente vuote, poche persone, un’atmosfera di attesa incombente. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Diverso discorso va fatto per via Partenope perché la strada in questo caso è definita formalmente e funzionalmente dalla palazzata a mare e non ci sono questioni di traffico veicolare di attraversamento come a via Caracciolo. L’intervento qui si presenta più facile e probabilmente un progetto di restyling è sufficiente a ridare unitarietà all’insieme una volta eliminato o ridotto il transito auto.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Per nulla paragonabile è la riuscita pedonalizzazione di piazza Plebiscito. La piazza reale è, infatti, uno spazio creato per accogliere, dove il significato è proprio nel vuoto; l’opposto del lungomare dove il vuoto creatosi è solo una mancanza, un’assenza. Piazza Plebiscito è, infatti, uno spazio che gioisce della presenza della gente e degli eventi. Lì, infatti, l’auto era abusiva, cosi come lo erano le carrozze a cavalli. Tolti gli elementi invasivi e abusivi, la piazza è tornata a mostrare l’alta qualità delle sue architetture e che danno forma allo spazio. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Tolte invece le auto da via Caracciolo, rimangono il golfo, la villa comunale, il mare e un’insostenibile assenza che era il trait d’union tra queste rinomate qualità. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Qui c’è bisogno di un’idea progettuale forte che sappia interpretare il luogo sostituendo il boulevard con qualcos’altro: riguadagnare il mare, aumentare il verde, dare unità alla villa comunale, attrezzare passeggiate, realizzare spazi per eventi e aree sportive. <i><o:p></o:p></i></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Credo che bisogna pensare alto anche se scarseggiano i finanziamenti, non si può sostituire la forza ottocentesca di un boulevard alberato , con micro proposte come quella fatta dall’assessore De Falco e apparsa su questo giornale ( 16.3.2013) : togliere l’asfalto e la recinzione alla villa. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Inoltre, se si considera che tra qualche anno, almeno si spera, si aprirà la stazione Arco Mirelli che convoglierà nella villa e sul lungomare grandi quantità di cittadini che utilizzeranno questo unico affaccio sul mare come un grande polo di intrattenimento , si capisce meglio l’importanza e l’urgenza di un progetto ampio e non di un restyling.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;"> Accanto poi a una visione che giustamente vuole esaltare le occasioni d’intrattenimento di una rinnovata centralità urbana di quest’area, va affrontato il problema del traffico est-ovest. L’esperienza già maturata nel lungo tempo della chiusura totale al traffico di via Caracciolo ha dimostrato che la riviera di Chiaia non è sufficiente a smaltire il flusso veicolare nelle ore di punta della giornata. C’è necessità quindi di misurarsi anche con il tema della mobilità su ruote e non semplicemente o autarchicamente ignorarla come se lo spazio pubblico di cui parliamo non fosse un bene comune speciale in equilibrio nel sistema città. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il tema del miglioramento della viabilità senza fare danno alla villa e al lungomare è un tema già studiato in passato e ancora vivo. Nel prg del 1970 era stato previsto un sottopasso lungo via Caracciolo, negli anni ottanta e novanta sono stati prodotti studi per tunnel sotterranei più lunghi e addirittura di tunnel sottomarini che non recavano danno alcuno al sistema dei luoghi.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il tema era ed è quindi evidente alla cultura urbanistica della città e, nonostante le implicazioni, oggi più che mai chiare, dovute al delicato regime idrogeologico dei terreni dell’area, è indispensabile<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">porre mano ad un progetto d’area, ad un Piano urbanistico attuativo che, considerando tutte le opzioni in campo, programmi gli interventi nel tempo escludendo soluzioni temporanee che danneggiano la maggioranza dei cittadini . Non servono archistars o mega studi internazionali per proporre progetti fattibili, serve una sinergia tra Comune e città che innanzitutto si rafforzi con l’apertura al confronto e alla discussione . Conoscere le proposte e discuterle è proprio ciò che distingue un comportamento democratico da uno dirigistico e nel caso di via Caracciolo e della villa comunale la discussione non si può esaurire dentro il Comune cosi come i progetti di trasformazione non possono essere fatti in casa . Servono confronti pubblici tra proposte di esperti, servono concorsi e prima di tutto concorsi di idee. La trasformazione di questo luogo pubblico esige l’approvazione dei cittadini, essa va resa pubblica, discussa e approvata, non ci sono strade traverse.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">A Parma, i cittadini hanno fatto cambiare il progetto in cantiere per piazza della Pilotta, nonostante l’architetto Mario Botta avesse vinto il concorso internazionale. Piccoli esempi di partecipazione attiva sulla trasformazione dei beni comuni di cui abbiamo grande bisogno.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;"><span style="font-family: Courier New, Courier, monospace;">Repubblica Napoli 28.3.2013 (pubblicazione parziale) </span><o:p></o:p></span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-62165519714598486622013-02-09T13:50:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.740-08:00periferie dimenticate <!--[if gte mso 9]><xml> <o:DocumentProperties> <o:Version>12.00</o:Version> </o:DocumentProperties> <o:OfficeDocumentSettings> <o:RelyOnVML/> <o:AllowPNG/> </o:OfficeDocumentSettings></xml><![endif]--><br /><div class="MsoNormal"><!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> 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Ma il nostro compito<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>principale <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>resta <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quello di porre mano a questo fallimento<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>urbanistico che si è prodotto nei quartieri pubblici del secondo dopoguerra e tentare di riqualificarli con operazioni <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pazienti e ad ampio raggio che possono durare decenni. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Non corrispondono quindi questi interventi cosi lunghi, ai tempi corti della politica. Le iniziative governative, regionali o comunali in questo senso producono risultati solo dopo, tre, quattro<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>stagioni politiche di cui nessuno può vantare l’esclusiva. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Ai Comuni poi compete portare avanti iniziative di altri e proporre nuove iniziative che altri completeranno; ma a <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Napoli però sembra che questo altalenante movimento non stia avvenendo. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Non solo non sono sostenute le iniziative di riqualificazione in corso da tempo , ma non ne sono proposte di nuove a dimostrazione di una trascuratezza e una mancanza d’interesse per la periferia assai negativa.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Languono o sono fermi tutti quei vecchi interventi compresi nei piani di riqualificazione urbana come a Ponticelli, a Soccavo, a Poggioreale e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al De Gasperi e sono in stallo gli interventi per le Vele (ne parlava giorni fa su questo giornale, nelle lettere al direttore, Antonio Lavaggi).</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Non sto parlando di progetti sulla carta, ma d’interventi finanziati per alcuni dei quali ci sono cantieri aperti e fermi ed è possibile che i finanziamenti non impiegati rischino di andare persi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">La politica potrà trovare anche qualche escamotage per non perderli del tutto quei finanziamenti, ma è la città più disagiata che ne subisce le conseguenze, sprecando quel tempo che servirebbe per migliorare se stessa. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Non credo che questa situazione sia il prodotto del pre-dissesto finanziario che sta attraversando il Comune; <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i PRU di cui parlo sono stati <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tutti finanziati, anzi qualche gara, pure bandita, è stata annullata.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Ci sono poi iniziative d’immagine che il Comune persegue e per le quali riesce ad ottenere finanziamenti e nelle quali investe soldi propri che ai miei occhi appaiono di pura visibilità mediatica ( Coppa America, Forum delle culture) ; cosi come ci sono anche introiti che il Comune incassa dalla vendita del patrimonio pubblico residenziale che purtroppo non vengono re-investiti nella casa. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Come è noto la questione delle case a buon mercato a Napoli è una questione aperta, una emergenza che dura<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fin dall’inizio del Novecento. Mancano case e affitti a prezzi sostenibili in una quantità che è abnorme rispetto alle situazioni abitative degli altri comuni italiani.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Inoltre, a differenza di altre città che costruiscono ancora case sociali, noi possiamo soprattutto, se non solamente, riqualificare l’esistente perché abbiamo già consumato quasi tutto il suolo libero del nostro territorio e non possiamo permetterci nuove urbanizzazioni. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Poche speranze infine abbiamo che i privati, nell’ attuale forte<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>crisi edilizia, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>investano in edilizia sociale senza congrui incentivi pubblici e purtroppo nessun segnale<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>positivo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ci viene dalla attività di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sostegno delle Fondazioni <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Immobiliari per il Social Housing <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>locale che in città come Parma o<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Milano qualche piccolo quartiere a prezzi contenuti pure costruiscono.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Un merito va riconosciuto all’attuale Amministrazione, ed è quello di aver studiato e poi trasformato in proposta di variante urbanistica (non approvata però) un aumento delle residenze a scapito del terziario già previsto. Un’operazione urbanistica per venire incontro al forte fabbisogno di case con aumento della percentuale di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>residenze<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sociali, senza aumento delle cubature già previste dal prg.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">Purtroppo questo studio, di cui si parlava già alcuni anni fa, se sarà trasformato in norma di piano, arriverà in un momento di grave crisi del settore delle costruzioni. Una crisi per troppa edificazione di nuove abitazioni (si calcola che dal 1998 al 2007 si sia costruito in Italia il 30% del patrimonio residenziale esistente) che sommata alla crisi economica che attraversiamo, non potrà stimolare nessun privato a intervenire se non vengono<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>previsti <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>adeguati incentivi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pubblici e facilitazioni. </span></div><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US;">E proprio perché Napoli fa caso a sé nell’emergenza abitativa, un forte impegno a non perdere finanziamenti, a trovarne di nuovi e ad attivare forme concrete e adeguate di partenariato pubblico privato sono le sole azioni politiche indispensabili per rilanciare la trascurata riqualificazione delle periferie</span><br /><br /><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;"><<Repubblica Napoli >> 19.1.2013</span></span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-47405682975959969212013-02-09T13:33:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.752-08:00La distanza tra università e lavoro<h3 class="post-title entry-title" itemprop="name"><a href="http://www.archiview.blogspot.it/2012/12/la-distanza-tra-studio-e-lavoro.html"> </a></h3><div class="post-header"> </div><div class="post-body entry-content" id="post-body-4258502191041069323" itemprop="description articleBody"> <br /><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">I dati del Censis sulla società italiana 2012 mettono in rilievo il <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>trend negativo delle iscrizioni all’Università che si accompagna ai dati sulla <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>recessione <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>economica del nostro paese. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le immatricolazioni all’Università sono calate del 6,3%, confermando una progressiva diminuzione degli studenti che va avanti per lo meno dal 2007. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Tale contrazione generale delle iscrizioni non si riflette in modo omogeneo su tutte le lauree perché quelle tecnico-scientifiche aumentano a scapito di quelle umanistiche.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Accanto a questo declino e trasformazione degli studi superiori, si assiste nelle scuole medie ad <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un aumento degli <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>iscritti alle scuole professionali ( +2%) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mentre <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>diminuiscono quelli ai licei, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per cui oggi la maggioranza degli studenti medi si colloca nelle <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>professionali (52% del totale).</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">L’insieme di questi dati mostra che c’è un bisogno di lavoro ed una disillusione per l’avanzamento sociale dei laureati<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che si sta diffondendo nel <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nostro paese come un vento debole ma costante. Si privilegia la ricerca del lavoro alla ricerca del titolo. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">I cambiamenti nell’università dovuti alle due principali riforme, quella Berlinguer del 1999 e quella Gelmini del 2010, non hanno migliorato le prospettive pratiche alla schiera dei laureati italiani. Le riforme, infatti, si sono occupate principalmente di organizzazione del sistema universitario e non della qualità della formazione impartita.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Formule come il 3+2, o Dipartimenti al posto di Facoltà, </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">se hanno migliorato (ma i bilanci sono contraddittori), <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ovvero possono migliorare, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’organizzazione e razionalizzare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>disfunzioni non hanno<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>certo inciso<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sull’aggiornamento e il rinnovamento necessario dei contenuti della formazione.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Non ci sono incentivi alla didattica e gli incentivi alla ricerca<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non sono individuali, ma vanno alla struttura dell’Ateneo contando solo il 10% del fondo di finanziamento.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">In sostanza si sconta un mancato aggiornamento dei saperi rispetto alle domande sociali e al mercato del lavoro. Ma a soffrir di più, credo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sono<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i gruppi di lauree<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che insegnano mestieri, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che preparano <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>cioè ad una professione ( ingegnere, architetto, geologo, avvocato, agronomo, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>etc.) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alle quale serve, oltre un sapere storico-critico e teorico,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una pratica diretta, una <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sperimentazione nel vivo delle risposte <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alle domande<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>della società<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che non possono tutte essere rimandate <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al dopo la laurea.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">In quest’ambito di lauree, la formazione accademica oscilla tra un obiettivo generalista e uno specialista senza aver scelto esattamente e chiaramente quale fine darsi e quale politica di differenziazione tra atenei perseguire. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Ne consegue una preparazione che spesso non è sufficiente al laureato ad inserirsi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>positivamente nel mercato del lavoro: <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una preparazione incompleta che sembra richiedere un terzo livello di formazione ,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>attraverso <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>masters <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>o <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tirocini<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>esterni . </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Per la verità il 3+2 aveva come obiettivo di realizzare un triennio generalista ed un biennio specialistico orientato alla professionalizzazione <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pur nella situazione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>variegata dei nostri atenei, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il rinnovamento verso la <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>professionalizzazione non c’è stato.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Sono mancati gli incentivi (premialità e carriere) ad una trasformazione della conoscenza, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>più che in maggior sapere, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in un saper fare che nessuna delle due riforme<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ha previsto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Siamo eredi di una cultura idealista che fatica a trasformarsi in tecnico-scientifica ed a<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>confrontarsi con uno scopo pratico. Prendiamo per esempio la questione dell’incompatibilità tra professione e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>docenti. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Com’è pensabile che mancando una pratica<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>professionale ai docenti, perché vietata,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si possa bene insegnare un mestiere ?</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Come si può insegnare a progettare un edificio senza averne mai costruito uno o come si possono calcolare le strutture statiche senza aver mai realizzato un edificio antisismico? E’ un mistero della fede, oscuro alla ragione. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Solo ai medici è consentita un’attività professionale intra-moenia indispensabile allo sviluppo delle competenze . </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Certamente non tutti i docenti mancano di esperienza pratica e non tutti gli atenei la proibiscono tassativamente, ma coloro ai quali è affidato il rinnovamento dell’università ne sono privi.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Una legge ipocrita del 1996, proibendo con sanzioni e multe, attività lavorative per i pubblici dipendenti la estese anche ai docenti universitari consentendola solo a coloro i quali non avrebbero potuto fare carriera accademica. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Gli effetti perversi di questa legge si riverberano negativamente sull’insegnamento che è <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>logicamente più formale che basato su solida esperienza. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Cambria","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: major-latin; mso-hansi-theme-font: major-latin;">Senza un bilancio condiviso della riforma del 3+2, i cambiamenti della legge Gelmini sono destinati ad aprire altre sperimentazioni su formule e regole i cui esiti sembrano insufficienti alle richieste del mondo del lavoro.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Cambria","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: major-latin; mso-hansi-theme-font: major-latin;">Tra i tanti propositi iniziali del governo Monti c’era anche quello di valutare la possibilità dell’abolizione del valore legale del titolo di studio che avrebbe costretto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>gli Atenei a competere fra loro facendo emergere le diverse qualità<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>esistenti sia della ricerca sia dei <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Corsi di Laurea. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Cambria","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: major-latin; mso-hansi-theme-font: major-latin;">Il governo accantonò subito ogni proposito di nuovo cambiamento<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sopendo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>le istanze di una cultura privatistica<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che guardava l’Università in modo differente.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Cambria","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: major-latin; mso-hansi-theme-font: major-latin;">Ma <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>innescare la competizione fra atenei e il<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>riconoscimento <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pieno del merito per ricerca e didattica-<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>riconoscere cioè<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>le università <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>migliori e peggiori- sarebbe già una scelta anti recessiva.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Cambria","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: major-latin; mso-hansi-theme-font: major-latin;">Forse non è un gran male la diminuzione degli immatricolati, anche se l’Italia ha un basso numero di laureati rispetto alla media europea (20% contro 34%).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma è <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>soprattutto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un male il fatto che a fermarsi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>prima <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>siano gli studenti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di famiglie con meno capacità economiche,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sulle quali , come per un<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ciclico ritorno al passato,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>incombe una selezione per censo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal"></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Cambria","serif"; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: major-latin; mso-hansi-theme-font: major-latin;"><span style="mso-spacerun: yes;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">Repubblica Napoli 18.12.2012</span> </span></span></div><div class="MsoNormal"></div><div class="MsoNormal"></div></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-60235282866059387392012-12-21T01:51:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.764-08:00 Dite a Fuxsas che la grandeur è finita<br /><div class="contA"><br /><section id="lista-risultati"> <article> <h1> </h1>IN QUESTI giorni è stato presentato con molta enfasi il progetto della stazione di piazza Nicola Amore di Fuksas. Dall' intervista di Tiziana Cozzi, pubblicata su questo giornale giovedì scorso, emerge l' obiettivo di riqualificare la piazza nell' ottica della pedonalizzazione anche del Rettifilo e l' intenzione di fare una stazione-museo coperta da una calotta di vetro mettendo in mostra i reperti del tempio dorico ritrovato. La prosecuzione dei lavori per la metropolitana è una necessità fisica di questa città troppo congestionata, che ha quasi perso la misura umana del suo centro storico; ma non altrettanto necessario appare ampliare le stazioni e occupare prezioso suolo pubblico come propone il nuovo progetto Fuksasa differenza di quello preliminare dove egli proponeva una stazione ipogea con alcuni lucernari. Detto in altri termini e con meno humour dell' archistar romana, il nuovo progetto vuole liberare la piazza dalle autoe occuparla con un edificio di vetro, una copertura global, buona per molte occasioni, posta quasi al centro di essa e dentro la quale mettere in mostra i reperti archeologici che i pedoni potranno vedere anche dall' esterno. S S i assiste qui a un ampliamento di una tendenza del progetto contemporaneo che non riesce a stare dentro al tema, in questo caso il sottosuolo, ma che vuole emergere come protagonista della scena urbana. Anche a piazzetta Santa Maria degli Angeli succede la stessa cosa con la conseguente futura scomparsa della piazzetta. Analogamente anche nella stazione di piazza Garibaldi l' immenso pergolato, vera foresta di tubi di acciaio, copre una nuova ulteriore galleria commerciale che toglie metà piazza al giardino pubblico pur previsto. Diverso è invece il modo di progettare la stazione Municipio, per esempio, dove Siza, anche in presenza di importanti reperti archeologici, non per questo invade la piazza. Nella stessa tendenza di rispetto della città si situa anche la bella stazione Università e la rinnovata piazza Borsa riqualificata con un sobrio ed elegante intervento. E devo annoverare tra queste anche la stazione di Salvator Rosa, prototipo delle stazioni di Napoli, dove l' esuberanza invasiva del progetto è giustificata dal disordinato e confuso spazio urbano esistente. In questo contrasto di tendenze l' invasione dello spazio pubblico sembra per la verità cosa antitetica alla sua liberazione e non in linea con le altre proclamate liberazioni fatte da quest' amministrazione. C' è una recente deriva che sta minacciando le città storiche italiane, da Venezia, a Torino, a Roma, grandi firme propongono progetti che alterano notevolmente quell' equilibrio stratificato che esse hanno raggiunto attraverso molto tempo. Per esempio i due grattacieli a Torino (Banca Intesa e Regione), l' Ara Pacis a Roma, il ponte in vetro sul Canal Grande a Venezia. Andrebbero presi molto sul serio gli allarmi lanciati da Salvatore Settis anche su questo giornale (il 2 ottobre) per la tutela dei centri storici. Partendo dalle analisi delle conseguenze negative per Venezia (estraneità e costosità del ponte in vetro di Calatrava), Settis vede minacciati i centri storici da inopportuni interventi di trasformazione che, attraverso la copertura di grandi firme, rompono la soglia di tolleranza e che, teme Settis, aprono le porte a proposte di più modesti epigoni che non potranno più essere fermate. Non si vuole qui sostenere una questione di stile, resuscitare cioè il dibattito sul rapporto tra antico e nuovo, come se non fosse possibile immettere nel centro storico architetture nello stile "libero" che contraddistingue l' architettura contemporanea; ma, al contrario, proprio perché libero quello stile deve essere sottoposto a una qualche approvazione che non può essere solo burocratica ma democratica, per lo meno quando interessa e trasforma lo spazio pubblico della città. E ciò è tanto più importante quando questo spazio è definito e consolidato storicamente come l' ottocentesca piazza Nicola Amore. Si dirà che pur di avere un' opera di una archistar si può passare sopra l' altezza dell' edificio in vetro in mezzo alla piazza che ostacola la vista prospettica, che i reperti archeologici ritrovati sono una risorsa che è meglio mettere in mostra alla luce del sole piuttosto che tenerli in bui spazi ipogei, si dirà che il vetro è quasi immateriale, leggero e trasparente e che consente di vedere ed essere visti; ma a parte il fatto che una cupola di vetro è quanto di più global si possa pensare, andrei a vedere cosa è diventata la trasparenza del vetro in città, alla stazione Montesanto o a piazza Dante, prima di eleggere il vetro a dimensione immateriale. Non si tratta qui di ridurre l' architettura a pura funzionalità, ma una maggiore attenzione alla pratica del progetto piuttosto che al concept va richiesta e pretesa. Il tempo della grandeur anche per le stazioni è finito. Consentirsi una follia scultorea come la stazione di Soccavo di Kapoor dai costi proibitivi e superiori ai cento milioni di euro è stata una smargiassata che forse potremmo rivendere a qualche sceicco arabo quando si deciderà che cosa fare delle diverse parti scultoree in cui la stazione è divisa e che sono depositate da qualche parte. Credo che una richiesta di maggior realismo vada fatta all' architettura pubblica, prima di tutto come affermazione di un' attenzione etica e culturale in rapporto al contesto storico e poi anche per una valutazione dei costi e dei benefici che è, ahimè, spesso sottaciuta negli appalti pubblici. Sorprende infine che i beni pubblici siano ancora cosi trascurati a Napoli e che non ci siano indizi di un coinvolgimento della gente per scelte che così tanto li riguardano. Stando alle indicazioni che emergono dall' attuale Biennale di Architettura di Venezia, sembra che il lavoro delle archistar sia un po' diminuito di interesse sulla scena internazionale a vantaggio di una architettura civile di maggior realismoe utilità sociale: forse è solo un debole venticello ma spira in altra direzione.<br /> <i class="author">SERGIO STENTI</i> <aside class="correlati"> <a href="http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/08"> <time datetime="2012-10-08">08 ottobre 2012</time> </a> <span class="pages">1</span> <span class="section">sez. NAPOLI</span> </aside> </article> </section> </div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-33244610387353574032012-09-14T15:14:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.773-08:00Facciamo delle Vele un reperto archeologico<section id="lista-risultati"> <article> ROVINE giganti distese mezze morte su terreni vuoti si stagliavano all' orizzonte di Secondigliano. Erano edifici ciclopici che i circa seimila abitanti avevano odiato e avevano abbandonato e poi si erano intestarditi perché non fossero mantenuti in vita: volevano solo che scomparissero tante erano le sofferenze che ricordavano loro quando le avevano abitate scappando dai vicoli del centro storico di Napoli e non solo. N ell' ultima fase di vita quegli edifici diventarono luogo di fabbricazione e distribuzione di droga, covi per nascondere partite al consumo, nascondigli dove scappare e seminare gli inseguitori. Eppure non era facile demolirle, tre vennero giù con difficoltà ma altre quattro rimanevano e nessuno sapeva cosa fare. Troppo ingombranti, troppo calcestruzzo, troppo ferro e poi dove seppellirle? Le discariche erano tutte già colme di rifiuti urbani che si ammassavano nelle larghe vie. Ma il tempo sgretolava il calcestruzzo, le muffe segnavano i muri, l' acqua corrodeva le strutture, e gli intellettuali si interrogavano: ma che cosa farne? Tutti convenivano: non erano edifici da abitare ma erano però incredibilmente impressionanti, di un attraente scenografico, fuori dimensione: mai vista una cosa simile dopo l' Ospizio dei Poveri di Fuga. Perché perderle quindi? Da ecomostro inabitabile divennero un set cinematografico, addirittura un racconto, uno scenario dell' orrido; droga, camorrae letteratura allargarono di molto la loro fama negativa, simbolica e di successo. La lenta rivincita della legalità si accompagnò pari passo con la smobilitazione degli abitanti e le difficili demolizioni; le piazze dello spaccio durarono ancora un po' , poi si esaurirono e si spostarono altrove. Da ruderi di un sogno di modernizzazione divennero un' icona memorabile che colpì l' immaginario, segno di un esperimento estremo d' inabilità, di un' epoca alla ricerca cieca di una città altra di cui non avevano bisogno. Insomma si trasformarono da residenze a immagine dell' estremo, a icona, non certo a monumento. Non c' era nulla da tramandare, ma solo da vedere: una rovina del passato, quasi morta, ma da conservare come segno. Che cosa altro è un' icona se non un' immagine? I giganti distesi piacevano, venivano bene nelle riprese televisive, uno scenario estremo, sotto casa, compresi quegli interni così somiglianti alle carceri piranesiane. Intere scolaresche andavano in gita con i professori a vedere le case dei tossicodipendenti e quelle delle famigliole che si arrangiavano nella confezione delle dosi. Erano dei "droga tour" che spopolavano. Gli architetti avevano voluto sperimentare idee nuove a cavallo del ' 68. Utopie sociali e utopie tecnologiche e lotte per la casa che divennero lo sfondo ideologico e politico, il quadro entro cui alcuni spingevano per applicare nuovi processi industriali alle costruzioni per il popolo: era un malinteso imperativo della modernità. Ressero poco più di quindici anni quegli edifici a tenda, poi furono dismessi. Non era chiaro che cosa si dovesse fare con quei ruderi: seppellirli sottoterra o farci crescere rampicanti. Oppure riusarli per altro scopo ove ce ne fosse uno chiaro, venderli ai privati, farci facoltà universitarie, ospedali, atelier, case per lo studente. Tutte le più disparate idee non trovarono però strade concrete per affermarsi. Il Comune, che non era riuscito a gestire quei transatlantici quando erano in attività, non aveva certo capacità finanziaria e organizzativa per guidarne le trasformazioni e le abbandonò. Le Vele pian piano si degradarono fisicamente, si sbriciolarono, l' acqua le faceva marcire, l' erba cresceva e nessuno poteva avvicinarsi: emanavano un inconfondibile odore di abbandono. Ma non crollarono, erano stranamente costruite in modo solido e infatti stettero lì per molti anni.I vecchi abitanti non riuscivano più a sopportarne la vicinanza e il ricordo ora che erano diventati inquilini normali, ordinari, proprio loro che non lo erano mai stati. Si erano accontentati, infatti, di alloggi banali, disegnati da architetti-burocrati impauriti; però, per loro, tutto era meglio fuorché ritornare ad abitare nei vicoli anche se moderni. La commissione incaricata dal Comune non dette risposte tecniche chiare. Una sola cosa appurò: con i soldi della riqualificazione si potevano fabbricare tutte le case che si volevano. La riqualificazione costava molto più del nuovo. Nessuno sapeva se lo Stato avrebbe investito sul mantenimento di un' icona, data l' aria di crisi che circolava. Qualcuno si azzardava a considerare le Vele come una specie di Ospizio dei Poveri di periferia e sperava che in fondo potessero avere la stessa sorte dell' originale di Fuga: costruito, incompiuto, abbandonato, ma, dopo qualche secolo, curato e tenuto in piedi anche se non restaurato. Speravano costoro che potesse accadere alle Vele una storia simile: le rovine sembravano simili, non si distruggevano. Si sapeva che le pietre della storia alla fine venivano restaurate anche se per fini non detti, anche al prezzo di non farci nulla. E così speravano che sarebbe accaduto anche alle Vele ciò che alla fine, erano sicuri, sarebbe accaduto a quei 350 metri distesi lungo via Foria, un senso e una funzione. Gli storici cercavano di applicare ai quei quattro edifici lunghi centro metri le categorie tradizionali dell' unicum monumentale ma, nonostante i convegni, rimasero minoranza. Il rischio "cartolina" alla fine fu evitato, si comprese la differenza tra un' immagine e una cosa: "Ceci n' est pas une pipe" aveva segnalato Magritte molti anni prima. Le indecisioni riconsegnarono le scadenze al tempo che, con la sua solita lentezza, diede delle risposte: tre edifici debilitati si sgretolarono man mano e uno solo riuscì a sopravvivere. Mossi a pietà i napoletani lo curarono e non ne permisero la scomparsa, ma nulla si seppe intorno alla sua destinazione né panni furono mai esposti alle finestre. Fu un vero atto d' amore e di carità senza chiedere niente in cambio. Dicevano che una fondazione onlus ne aveva sostenuti gli altissimi costi, ne era diventata proprietaria e la stava trasformando, ma a Scampia i lavori dei volontari andavano a rilento. Bisogna riconoscere che qualche volta accade l' impensabile e proprio là dove meno te lo aspetteresti. Le scolaresche continuarono ad andare in primavera a vedere quel gigante solo, sopravvissuto a se stesso; emanava un' aria triste, non era fatto per il nuovo allestimento che gli stavano cucendo addosso nell' estate del 2016.<br /><br /> <i class="author">SERGIO STENTI </i> <aside class="correlati"> <a href="http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/09/14"> <time datetime="2012-09-14">14 settembre 2012</time> </a> <span class="pages">1</span> <span class="section">sez. REPUBBLICA NAPOLI </span> </aside> </article> </section>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-42147873358937381432012-08-19T08:57:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.783-08:00La mancanza sospetta dei concorsi pubblici <br /><div class="MsoNormal" style="mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">DOVREBBE essere una manna per la città e i suoi architetti, soprattutto in un periodo di crisi come questo, avere in programma e finanziate tutte insieme così tante opere pubbliche o a sostegno pubblico come abbiamo oggi a Napoli: restauro centro storico, Mostra d' Oltremare, stadio, metro e stazioni, Bagnoli e altro ancora. Eppure a fronte di tante opere pubbliche non c' è nessun concorso pubblico indetto, come rilevava ieri su queste pagine Pasquale Belfiore. Si procede come se si trattasse d' interventi privati: niente dibattito, niente partecipazione, niente responsabilità pubblica. Tutto rimane dentro le stanze delle istituzioni; al più si fanno annunci pubblicitari dei quali poco o nulla si riesce a comprendere circa la qualità delle scelte e le procedure per realizzarle. L a pratica dei concorsi per opere pubbliche che da un secolo costituisce un formidabile trait d' union tra istituzioni e cittadini, si è purtroppo prosciugata, interrompendo quella salutare diffusione novecentesca che vedeva la realizzazione dei beni pubblici attraverso il confronto delle proposte in competizione. Invece sembra oggi di assistere a un ritorno alle modalità dell' Ottocento quando il Comune trattava con i privati, e i privati proponevano al Comune, la realizzazione di pezzi di città o di edifici particolarmente importanti. Con la collaborazione di valenti ingegneri-architetti, le proposte private diventavano contratti approvati nel chiuso delle stanze comunali e, mentre risolvevano una cronica inefficienza comunale, si appropriavano anche della trasformazione della città con una pratica liberista oltre misura. A carico del liberismo ottocentesco va addebitato lo sviluppo asfittico della città, la mancanza di parchi e d' infrastrutture ma anche una qualità urbana dignitosa come quella realizzata tra l' altro al Rettifilo o al quartiere Santa Brigida. Ma vanno anche ricordati alcuni incidenti come l' urbanizzazione del Vomero, i cui danni ai cittadini ricordano i danni oggi subiti dagli abitanti dell' interrotto quartiere di Santa Giulia, disegnato da Norman Foster, a Milano. La prassi dell' accordo diretto tra impresee Comune si restringe nel Novecento proprio a favore del concorso pubblico, sia per opere importanti sia per i quartieri attivando ampi dibattiti stilistici che diventeranno una palestra di formazione per i giovani architetti italiani di quel periodo. È a questo punto che la figura del progettista, architetto o ingegnere, si libera dell' ipoteca delle imprese e s' impone all' attenzione della città con proposte e progetti tecnicamente e culturalmente aggiornati. Così sono nati i nostri più importanti edifici della città moderna: le Poste, le Finanze, la stazione marittima, la stazione ferroviaria, lo stadio San Paolo, il 2° Policlinico insieme a quartieri come La Loggetta o Secondigliano II settennio. Quasi del tutto accantonata la pratica dei concorsi (esistono eccezioni fortunate), le opere pubbliche vengono oggi costruite o attraverso incarichi diretti o attraverso gare tra imprese con progetti base redatti per lo più da uffici tecnici interni alle istituzioni che non brillano certo per qualità, competenza e aggiornamento. Una distorsione del sistema innescato dalle leggi Merloni impedisce poi di migliorare quelle mediocri proposte comunali riducendo le garea miglioramenti sui materiali e sull' energia. Il centro della premialità diventa ora la dimensione economica piuttosto che quell' architettonica ed estetica. La preferenza data alle gare d' appalto piuttosto che ai concorsi di architettura risponde anche a un' esigenza politica delle amministrazioni: incapacità di scelte di lungo periodo, impellenza data dalle scadenze dei finanziamenti, desiderio di avere mano libera nel cambiare i progetti in corso d' opera piuttosto che avere un progetto dato e fissato vincitore di concorso. Eppure, anche in quei pochi casi di concorsi pubblici espletati, le istituzioni non sono solerti nell' assumersi la responsabilità della trasparenza delle scelte in relazione all' abbandono o ai cambiamenti che i progetti subiscono. Per esempio non è noto perchéa Napoli il progetto per il porto di Euvè è stato abbandonato, perché è stato variato il progetto di Cellini per Bagnoli, perché è stato messo in archivio il progetto per il rione De Gasperi a Ponticelli. Non solo quindi serve più trasparenza tra amministrazione e cittadini nella trasformazione della città, ma nel caso dello spazio pubblico tale trasparenza e partecipazione è indispensabile. Non si può porre mano allo spazio storico della città senza fare concorsi e senza dibattito pubblico. Dare incarichi diretti, approvare progetti pubblici come se fossero privati, non è una pratica che stringe il rapporto tra città e cittadini. Crea sospetto e irresponsabilità e un senso di città privata che non è ciò che si vuole. Mi riferisco alle piazze invase (o abbellite secondo alcuni) dalle stazioni della Metropolitana, alle piazze che lo saranno tra poco (piazza Santa Maria degli Angeli e piazza Nicola Amore), al restauro e ri-uso di importanti monumenti nel centro storico, al restauro e riuso di edifici della Mostra d' Oltremare. Si fa un gran parlare dei beni comuni, di acqua, mare, montagne e paesaggi, come di beni fondativi della società che li usa e li vive, ma anche i beni pubblici, come abbiamo visto, sono fondanti la storia di una comunità e ogni loro trasformazione va attivata e condivisa.</span></div><div class="MsoNormal" style="mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Repubblica NA 25.7.2012 </span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-85928566063493407672012-04-07T15:59:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.793-08:00Bagnoli ... bene comune<div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Bisogna tener conto delle ultime due novità su Bagnoli se si vuole ragionare su come e quando si realizzerà il grande progetto verde previsto al posto della gigantesca acciaieria dismessa nel 1991.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">La prima novità è che, dopo due gare andate deserte, nessuno può illudersi che, mantenendo le attuali condizioni, gli investitori privati siano interessati a Bagnoli; la seconda è che, finalmente, la responsabilità della bonifica della spiaggia e del mare non è più sparsa tra Enti statali che non l’hanno fatta, ma sarà gestita direttamente dal Comune di Napoli cui dovranno essere trasferiti i finanziamenti.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">E’ evidente che alla luce di questi fatti è urgente conoscere le intenzioni dell’amministrazione cittadina su come intende muoversi per programmare il completamento del grande progetto urbanistico. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Costruire la nuova Bagnoli- Coroglio con soldi pubblici è stato un desiderio irrealizzabile. Già nel 1993 si prevedeva per i suoli liberati un’occasione di sviluppo urbano per circa 300 ettari, con parchi, spiaggia, ricerca e porto turistico; una specie di risarcimento alla città che la politica s’incaricava di guidare come se fosse una rinascita: niente speculazione, solo un bellissimo luogo dove andare in vacanza, aria salubre, suolo bonificato, spiaggia e mare puliti. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Questo sogno che la città ha visto liquefarsi anno dopo anno ha incontrato molte difficoltà oggettive e soggettive come la diminuzione del flusso di denaro pubblico , il crescente costo e le difficoltà della bonifica dei suoli e della spiaggia, l’assenza dei privati e insieme un’incertezza sul progetto generale che non sembra ancora del tutto eliminata. </span></div><div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-add-space: auto;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;"> Aiuti europei considerevoli e finanziamenti pubblici anche ridotti e a singhiozzo non sono bastati a coprire l’aumento dei costi di un progetto cosi vasto per un sito molto inquinato. Un progetto tutto pubblico, simile al PSER del 1980, ma partorito negli anni novanta era stato il frutto di una visione statalista che già allora mostrava tutti i segni della non sostenibilità. Le stesse scelte urbanistiche approvate con la Variante del 1996 e poi col PRG erano volutamente superficiali sul fabbisogno abitativo e sognavano per la città un’economia terziaria e di ricerca. Prevedere per Bagnoli, ma anche per tutta la periferia, di costruire poco e quel poco soprattutto con uffici poteva andar bene forse per Milano ma non per Napoli. Ma tantè, quelle norme di PRG sono ancora valide anche se sono state di poco variate nel 2009 dalla giunta Iervolino per la sola Bagnoli, per cercare inutilmente di attrarre investitori privati.</span></div><div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-add-space: auto;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">I ritardi della bonifica dei suoli sono stati decisivi nel posporre ogni altro intervento sull’area e soprattutto la spiaggia e il mare inquinati si sono rivelati temi di bonifica più difficili del previsto compresa quella rimozione della colmata che, decisa per legge, non ha trovato ancora soluzioni pratiche. Spetterà ora al Comune occuparsi di questo, proponendo soluzioni praticabili e tempi accettabili. Quello che non è auspicabile è rimanere nell’incertezza paralizzante di polemiche sul modo della bonifica, o attardarsi a discutere di posizioni ideologiche o demagogiche tipo NINBY ( non nei miei terreni) che portano solo all’isolamento dalla comunità nazionale. </span></div><div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin-left: 0cm; mso-add-space: auto;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">L’accumulo di questi ritardi e la mancanza d’infrastrutture hanno inciso fortemente sull’attendibilità dei tempi della riqualificazione e hanno allontanato gli investimenti privati. </span></div><div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; mso-add-space: auto;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Ma il quadro della Bagnoli del futuro è reso più incerto anche dalla mancanza di un master plan pubblico di come sarà, ad opera completa, tutta l’area. Purtroppo il progetto Cellini, pur approvato nel 2007, non è diventato un master plan vincolante. Credo che sia un segno d’incertezza politica e arretratezza culturale pensare che si possa realizzare un intervento di riqualificazione di tale dimensione con gli indici di costruzione (come previsto dalla Variante urbanistica del 1996) come se il disegno 3D dello scenario finale della nuova Bagnoli-Coroglio non fosse, esso stesso, parte del suo possibile successo. </span></div><div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="margin-left: 0cm; mso-add-space: auto;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Ogni città europea (l’esempio di Amburgo è molto istruttivo) ha capito che il successo di operazioni di riqualificazione di grandi aree dismesse poggia su stabilità di decisioni, alta sinergia con i privati e progetti di qualità dove il pubblico si riserva il compito di costruire un quadro complessivo e le infrastrutture necessarie e guida poi le realizzazioni secondo un disegno a tre dimensioni tanto dettagliato nelle parti pubbliche e nelle volumetrie quanto libero nell’architettura dei privati. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">A me pare che il giudizio negativo che si percepisce in città riguardo a Bagnoli Futura, per nulla modificato dal piccolo e attraente auditorium sia perfettamente motivato da una lunga e costosa gestione della cosa pubblica che non ha prodotto i benefici auspicati. Soprattutto i troppi ritardi della bonifica e le previsioni di parchi non sostenibili hanno minato l’attendibilità delle promesse politiche. In particolare i parchi previsti, di un’ampiezza fuori misura (160 ha), pongono domande concrete sulla capacità economica di realizzarli e di gestirli. I precedenti napoletani non incoraggiano di certo: il Comune ha lasciato inselvatichire il parco De Filippo a Ponticelli (10 ha) per carenza di manutenzione fino ad un punto tale che esso è oggi inutilizzabile e chiuso. Vorremmo essere smentiti dalle capacità gestionali, di uso e ricerca di risorse pubbliche che la nuova amministrazione afferma in continuazione di possedere; applicarle a Bagnoli e vincere la scommessa ereditata sarebbe un grande merito. </span><br /><span lang="IT" style="font-size: 16pt;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">(Repubblica Na 7.4.2012) </span></span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-39856941846689662222012-03-01T13:15:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.803-08:00Ospedale del mare uno scandalo voluto<div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">Le recenti scandalose vicende negli appalti pubblici ripropongono l’annosa questione che si sperava superata dopo tangentopoli: come è possibile che non ci sia stato rimedio alle cause di inefficienza e malaffare che gravano ancora per molta parte sulle opere pubbliche ? </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">La risposta più semplice è che non si vuole farlo, non si vuole modernizzare il paese instaurando controlli efficienti e sanzioni, trasparenza e responsabilità. Capire come mai un ospedale pubblico da 200 milioni di euro appaltato nel 2004 con l’impegno a consegnare l’opera in quattro anni, si trovi, dopo otto anni incompleto e con costi più che raddoppiati non è difficile. È la stessa storia accaduta migliaia di volte in passato: approssimazione e incompetenza, deroghe e varianti, in una sinergia di sprechi tra pubblico e privato che allunga i tempi e aumenta i costi. Lo scandalo dell’Ospedale del mare a Ponticelli non è certo l’ultimo della catena, anche il recente Auditorium di Isernia che dai 5 milioni iniziali arriverà a costarne 55 non è meno scandaloso . Questi scandali, com’è ovvio, sollevano moltissimi interrogativi sulle collusioni e le inefficienze, vorrei però ragionare brevemente su tre aspetti che mi sembrano decisivi: la scelta, la gestione e la realizzazione delle opere pubbliche . </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">La scelta. E’ evidente che spetta alla politica scegliere tra le tante opzioni sul tavolo quelle che si ritengono più strategiche o urgenti per l’interesse collettivo e spetta anche alla politica assumersene la responsabilità se questo fine non è raggiunto. Purtroppo quest’ultimo corollario non funziona da noi. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">All’indomani di Tangentopoli fu emanata la legge Merloni che aveva alcuni meriti: evitare le varianti e ridurre le deroghe, separare progettista e costruttore,</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;"> mettere al centro la unitarietà del progetto e la responsabilità del progettista ( selezionato purtroppo in base al fatturato e non al merito). </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">Il governo Berlusconi ha via via smantellato quel piccolo rigore iniziale consentendo deroghe, varianti al progetto esecutivo, ampia trattativa privata, offerte anomale, e svilendo il ruolo del progettista a vantaggio delle Imprese. Si sono cosi venute a sommare, anche a causa della normativa europea, troppe norme e leggi che hanno ampliato e non diminuito i poteri arbitrari delle stazioni appaltanti, consentendo addirittura la rinegoziazione successiva dell’appalto, vero cavallo di troia dei lavori pubblici. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">Si racconta che tra gli ambiziosi interventi sulla città dell’ultimo sindaco di Parma, la costruzione di un edificio/ponte sul torrente la Parma abbia fatto esclamare, a uno sbigottito funzionario di Bruxelles: molto bello il progetto, peccato che manca il fiume! Il sindaco si è dimesso ma i parmigiani dovranno ripianare i conti in rosso delle tante follie del sindaco.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">Tornando in casa nostra non appare certo una scelta per l’interesse pubblico quella di costruire a Bagnoli, al di sotto di un auditorium una mega SPA con saune e piscine e farla gestire ai privati con un canone che, certo, non ripaga l’investimento milionario. Chissà poi perché il Comune si fa concorrenza da solo possedendo, nelle immediate vicinanze della nuova SPA, le storiche e belle terme di Agnano da poco rinnovate. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">Non sarebbe stato meglio se quei soldi fossero stati spesi per realizzare quel parco tanto atteso dai cittadini e la società Bagnoli Futura, vendendo i suoli valorizzati che possiede, avesse anticipato i tempi realizzativi delle opere pubbliche per cui è nata? Sono domande legittime credo, che ragionano su scelte che sembrano avere poco che fare con l’interesse pubblico. Sorprende inoltre anche la poca sensibilità a questi temi di quei movimenti di partecipazione democratica che si mobilitano giustamente per la non privatizzazione dei beni comuni ma che sono poi come rassegnati al malfunzionamento dei beni pubblici. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">La gestione. Sta prevalendo uno svilimento dei beni pubblici a vantaggio di una commercializzazione mai avvenuta in passato che crea situazioni paradossali . </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">Ci sono casi di edifici pubblici venduti a privati e riaffittati allo Stato a canoni elevati, oppure casi di opere pubbliche costruite con soldi pubblici affittati a privati a basso canone. La recente pratica della commercializzazione dei beni pubblici, dovuta alle “cartolarizzazioni tremontiane “, è molto invasiva e ha cercato di allargarsi anche ai beni comuni (acqua, coste, reti, ecc) alimentata da una politica ventennale di delegittimazione e negatività verso tutto ciò che è pubblico o che rappresenta lo stato. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">La realizzazione. Due i sistemi più usati per opere importanti : il project financing e l’appalto integrato.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;"> Il PF, chiamando ad investire nell’opera pubblica anche soldi privati sembrava lo strumento più idoneo a rendere efficiente l’appalto; esso infatti richiede una negoziazione tra pubblico e privato ed esclude l’aggiudicazione con offerta al massimo ribasso. Nonostante questi vantaggi, il rapporto tra costi e benefici di questo sistema non è omogeneo in Italia; esso dipende molto, infatti, dalla forza e dalla serietà delle amministrazioni pubbliche appaltanti perché altrimenti è facile che la negoziazione degeneri in collusione come dimostrano gli scandali dell’area di Castello a Firenze e la vicenda dell’Ospedale del mare.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">L’appalto integrato invece prevede la dannosa norma dell’offerta al massimo ribasso. Quando le imprese vincono appalti con ribassi fuori mercato e parcelle professionali irrisorie, decisi da commissari di gara che spessissimo non sono qualificati, è chiaro a tutti che nel corso del cantiere succederanno cose tali che si allungheranno i tempi, aumenteranno i costi , sarà ridotta la qualità del progetto e della costruzione. Giova agli sprechi e al malaffare la mancanza sia di una seria vigilanza sugli appalti sia di un valido sistema di accreditamento delle Imprese. Gli organi esistenti esercitano per lo più un controllo formale e non sostanziale e, soprattutto, manca una banca dati nazionale che raccolga e compari elementi decisivi come contratti, costi, tempi e qualità dei risultati. Una siffatta banca dati che monitorizzi i cantieri e che fosse in rete consentirebbe grandi miglioramenti degli appalti pubblici e accrediterebbe le Imprese con utili “pagelle”; un po’ come fanno le agenzie di rating con le banche stabilendo per ciascuna il premio di rischio. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;">In un periodo di riduzione dei consumi e dei redditi anche il solo sprecare fondi pubblici negli appalti è oggi di una gravità insopportabile che richiede interventi correttivi urgenti, da parte governativa, delle norme degli appalti pubblici. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 16pt;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">(Repubblica Na , 29.2.2012) </span></span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-50095670156364399012012-01-31T07:34:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.813-08:00Si realizzano 7000 alloggi in CampaniaNon essendo più possibile prevedere un’edilizia pubblica per mancanza storica di finanziamenti governativi (a meno di benvenute sorprese politiche) ci dobbiamo rassegnare a pensare che il futuro degli alloggi sociali italiani sarà tutto nelle mani dei privati. Abbandonato anche ogni proposito significativo di riqualificare i quartieri di edilizia pubblica, la costruzione di nuovi alloggi privati sociali sarà l’unica prospettiva possibile per dare un tetto a fasce di basso reddito, giovani coppie, anziani , sfrattati e single. <br />Mentre quindi il patrimonio pubblico sarà via via dismesso o rottamato, la nuova edilizia sociale privata dovrà garantire un’equa redditività, molto diversa da quella popolare (si parla del 3% al netto dell’inflazione). Ciò significa che gli alloggi sociali avranno un affitto più basso del 30% di quelli liberi, ma significativamente più alto di quelli popolari. Da 100 euro/mese si passerà a 400 euro/ mese per un alloggio medio.<br />E’ questo lo scenario che emerge analizzando le prospettive delle politiche nazionali del Piano Casa, dei Fondi investimenti per l’abitare (FIA) e dalle politiche delle Aziende Casa (ex Iacp), in parte discusse anche in un recente convegno della Federcasa (associazione degli Iacp nazionali) e dello Iacp napoletano.<br />In questo quadro nazionale ci sono però alcune differenze regionali significative che vanno marcate . La prima è che i fondi immobiliari sono già all’opera con cantieri aperti in molte realtà del Nord mentre non sono ancora operativi al Sud (Acen e Fondazione Banco Napoli ci stanno provando). <br />La seconda è che mentre sul piano nazionale il Piano Casa è stato una totale delusione attivando pochissimi capitali privati, al sud e in particolare in Campania si è registrato un picco incredibile d’interesse che ha mobilitato proposte private pari al 60% dell’intera offerta nazionale (1,5 mld contro 2,5 mld totali). <br />Non conoscendo i dettagli, il cosa e il come , delle proposte campane non possiamo avanzare spiegazioni su questo fenomeno in controtendenza nazionale, la cui validazione è affidata alla Regione. Vorremmo però fare qualche utile riflessione.<br />La fame di case in Campania ha raggiunto cifre a cinque zeri e non esiste nelle città e massimamente a Napoli, un’offerta di affitto a prezzi ragionevoli. A Napoli la casa di proprietà è posseduta da appena il 50% della popolazione contro una media nazionale del 70% e, per quanto si conosce, non sono stati aperti nuovi cantieri per alloggi sociali né da parte del Comune né da parte dello IACP napoletano. Quelle tre o quattro centinaia di alloggi attualmente in costruzione sono il prodotto di vecchi finanziamenti e accordi , il resto sono per ora annunci. <br />Finanziamenti nuovi, infatti, non sono stati attivati nonostante la dismissione del patrimonio di edilizia pubblica che sta portando decine di milioni nelle casse dello IACP e anche in quelle Comunali. Ma tali nuovi soldi non sono ancora diventati investimenti in nuova edilizia o in acquisto di terreni, come invece sarebbe altamente auspicabile fare. <br />La prospettiva del Piano Casa in Campania, ammesso che le offerte private prodotte si tramutino tutte in edilizia, è quella di realizzare 7000 nuovi alloggi, di cui 1750 nella sola Napoli (di cui 800 alloggi sociali e 900 in vendita a libero mercato o mercato convenzionato). <br />L’attrazione dei capitali privati si è basata su una deregulation allettante che consente aumenti di cubature dal 20 al 35 %, cambio di destinazioni d’uso, possibilità di intervenire nei centri storici, abbattimento e ricostruzione di edifici pubblici in aree degradate con aumenti del 50%, configurando un intervento complessivo in grado di sconvolgere la pianificazione comunale. Tale deregulation sembra animata più da una voglia quantitativa che qualitativa, da una cultura dell’emergenza che ricorda quella praticata a Napoli nel dopoguerra “rimuovere ogni regola urbanistica ed edilizia per consentire di costruire comunque e dovunque”.<br />Molta attenzione è richiesta dalle norme del Piano casa ai progetti presentati per gli aspetti energetico-ambientali come è giusto fare ma pochissima attenzione viene richiesta per la qualità architettonica ed urbana, la vivibilità, gli spazi di relazione, il rispetto del contesto e del paesaggio, il verde. Ciò è tanto più importante per quelle proposte di riqualificazione urbana di aree degradate, dove viene concesso un aumento di cubatura del 50% senza distinzione per le diverse parti di città dove sono collocate e senza precisare come l’aumento di cubatura deve essere conseguito: in altezza oppure occupando suolo libero. <br />Niente da obiettare sul tipo d’intervento “demolizione e densificazione”in aree periferiche, a patto che non venga consumato nuovo suolo urbano e reggano le infrastrutture al contorno. Ma non si può dire la stessa cosa per gli interventi nelle parti di città consolidata dove l’alterazione negativa del contesto, per aumenti di cubatura cosi elevati, è assai probabile. <br />Tra le proposte di riqualificazione di quartieri pubblici degradati avanzate dallo Iacp napoletano per il Piano Casa, ce ne sono alcune, poste in aree di città consolidata, che destano forti perplessità circa le conseguenze sugli intorni edilizi e paesaggistici esistenti, come a Largo Volpicelli, nel rione Amendola o al S.Francesco. Sorprende il silenzio sul Piano Casa da parte del Comune e il suo scontato e insufficiente richiamo al rispetto delle norme del PRG.<br />C’è in verità bisogno di una larga partecipazione e sinergia tra istituzioni e cittadini per discutere temi da troppo tempo lasciati peggiorare. Servono prospettive sui modi di affrontare il drammatico bisogno di case che al sud, incredibilmente, sembra superare in urgenza anche quello del bisogno di lavoro.<br /><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">Repubblica , Napoli, 31.1.2012</span>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-22946297370458376312011-12-20T13:08:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.821-08:00Architettura cenerentola della nuova universitàApprovati i nuovi statuti che regolano le trasformazioni delle università italiane secondo la legge Gelmini, si completerà nel corso del 2012 il processo di riorganizzazione delle università riformate.<br />Eliminate le facoltà e assegnati compiti didattici e di ricerca ai Dipartimenti, le Università si stanno riorganizzando secondo libere scelte dei docenti che si raggruppano per affinità culturali e scientifiche in Scuole che ripropongono, con poca variazione, le stesse facoltà eliminate.<br />Alcuni atenei hanno scelto di facilitare le nuove aggregazioni in Dipartimenti e Scuole/Facoltà (come Bari, Roma, Milano, Genova, Palermo etc.), altre invece, ed è il caso della Federico II, hanno posto maggiori limiti e vincoli, guidando con maggiore decisionismo il modo della riorganizzazione. <br />Confermata purtroppo la riduzione dei fondi pubblici sia per la didattica e sia soprattutto per la ricerca, il numero dei docenti continuerà progressivamente a ridursi a causa del blocco del turn over determinando cosi un’inevitabile riduzione degli studenti iscritti.<br />La riforma, com’è noto, tende a riorganizzare le strutture dell’università cercando razionalizzazione ed efficienza e diminuendo i costi, senza però prevedere incentivi o premialità per il miglioramento della formazione. <br />Forti ricadute positive si potrebbero avere dalla riunificazione di didattica e ricerca dentro i Dipartimenti, prima interessati solo alla ricerca; ma fare buona ricerca non significa fare buona didattica per cui non si capisce perché si voglia premiare solo chi fa buone ricerche e non anche chi fa buona didattica. Sembra un’antica sottovalutazione quella della didattica rispetto alla ricerca che trascura proprio la trasmissione del sapere, la formazione dei laureati, mettendo fuori centro l’apprendimento e, non a caso, ignorando poi le questioni decisive del post laurea come l’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro. <br />Dopo la sbornia di questi ultimi vent’anni nei quali sono stati creati tanti corsi inutili e laureato molti, una stagione di maggior rigore può senz’altro migliorare l’università a patto che quegli stessi “baroni” che hanno prodotto la situazione attuale e ai quali la Gelmini affida il cambiamento, siano virtuosamente spinti a migliorare la qualità attuale. <br />A Napoli, lo statuto approvato dalla Federico II appare in alcune parti, in rapporto agli altri atenei italiani, in chiara controtendenza, con regole più restrittive e dirigistiche della stessa legge Gelmini. Moltissimi atenei si sono organizzati costituendo tante Scuole quante erano le facoltà operanti (Milano, Trento, Roma, Genova, Bari, etc.), consentendo cosi un passaggio leggero all’università riformata: meno dipartimenti ma distribuiti in molte scuole/facoltà intese come raccordo didattico e gestione dei corsi di laurea. <br />Alla Federico II invece sono state create solo quattro Super Scuole, ( Scienze umane e sociali, Scienze e Tecnologia per la vita, Medicina e Chirurgia, Politecnico e Scienze di base) forzando 13 facoltà a convergere in sole quattro strutture dove rimarrano “intruppati” contenuti disciplinari e orizzonti culturali molto differenti e gelosi per antica tradizione. <br />Ad Architettura per esempio, converrebbe forse un nobile e coraggioso isolamento (Architettura alla SUN sembra avviata su questa strada) piuttosto che un abbraccio soffocante nella Super scuola, quasi Politecnica, che unisce tutte le ingegnerie (da biomedica ad aerospaziale ed elettronica, solo per citarne alcune) alle quali vanno aggiunte matematica e fisica. Trovare reciproco vantaggio culturale e scientifico in questa grande struttura che gestirà oltre 20 corsi di laurea, non appare certo chiaro né forse possibile, in particolare per una disciplina come architettura che si alimenta col sociale e trae tensione dall’intreccio tra arte e tecnica. Se l’abbraccio ci sarà, la facoltà di Architettura, cenerentola nella nuova Super scuola, si trasformerà perdendo vecchi caratteri distintivi e aquistandone di nuovi (soprattutto un’egemonia del sapere tecnico-scientifico) e questo la allontanerà dal processo che vede impegnate, per i prossimi anni, la maggior parte delle scuole di architettura italiane. <br />E’ noto che la laurea, specie nelle facoltà professionalizzanti, si è via via ridotta come amplificatore delle possibilità occupazionali delle persone, e tuttavia va sottolineato come il miglioramento della governance non migliora i nodi della validità attuale della formazione, dei contenuti e dei metodi di insegnamento in relazione a ciò che richiede il mercato. <br />Dopo l’illusione, prodottasi vent’anni fa, con la riforma del 3+2 che riteneva di formare in meno tempo più laureati e migliori, aumentando l’occupazione con la nuova figura del laureato triennale, si è assistito invece e soprattutto ad un aumento significativo di laureati che, in Architettura, ha toccato la cifra record di 140.000 unità. Tale notevole nuova massa di laureati, non sufficientemente preparata e aggiornata dall’Università, è diventata, con la tolleranza e la complicità degli Ordini professionali, una massa di professionisti che ha trasformato l’Italia nel paese europeo col più alto numero di architetti per abitante (23 ogni 10.000 abitanti contro una media europea di 8). E’ come se avessimo messo sul mercato per vent’anni, tredici nuovi architetti al giorno, a cui vanno aggiunti i numeri delle altre figure che operano nello stesso campo: geometri, ingegneri edili , civili e ingegneri-architetti. <br />Diceva Giò Ponti negli anni cinquanta: amare l’architettura è amare il proprio paese. Sembrava una cosa scontata per noi italiani, ma non era cosi: mentre siamo diventati il paese col più alto numero di architetti in Europa, la domanda sociale di qualità architettonica non è aumentata e il nostro prezioso paesaggio nazionale è peggiorato. Un paradosso quasi inspiegabile. <br /><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">( Repubblica Napoli, 20.12.2011) </span>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-18674219762716358482011-12-20T12:59:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.831-08:00Una politica urbana tutta in 25 nuovi alloggiI tempi lunghissimi della riqualificazione a Napoli sono diventati talmente lunghi che si sono quasi persi nel tempo. Sembra un gioco di parole ma è la semplice verità.<br />Chi si ricorda più dei Programmi di Riqualificazione Urbana che nel 1997 promettevano un miglioramento significativo delle condizioni delle periferie napoletane quale mai era avvenuto dopo il terremoto del 1980 ?<br />Ponticelli, Soccavo, Poggioreale erano i fiori all’occhiello di una pianificazione napoletana, inserita nel PRG, che guardava alla città pubblica come ad una risorsa che meritava di essere riqualificata: i quartieri del Novecento infatti erano e sono in tutta Europa un grande sfida alla innovazione e contemporaneamente alla conservazione di quegli interventi di qualità, razionalisti, organici, funzionalisti e anche megastrutturali, che lo hanno caratterizzato.<br />Su quest’argomento, in un recentissimo convegno (“Riqualificare i quartieri del Novecento”, Palazzo Reale, a cura di Paola Ascione, docente della Facoltà di Architettura) si sono visti interventi di riqualificazione residenziale su edifici degli anni sessanta e settanta che hanno quasi dell’incredibile. Esempi svizzeri di un’accuratezza esecutiva frutto di una sapienza dei progettisti fuori dall’ordinario e , incredibile, un concreto esempio italiano veramente inaspettato in questo paese che ha smarrito il bene pubblico: la riqualificazione, con abitanti in loco, delle “Navi” a Firenze , edifici assai simili alle nostre Vele, che sarebbe utilissimo portare a conoscenza della città e della nostra Amministrazione. <br />Purtroppo noi non abbiamo esempi concreti da mostrare e da paragonare: le passate due amministrazioni comunali (Bassolino e Iervolino) non hanno prodotto risultati concreti in questo senso e, fino ad oggi, anche l’attuale Amministrazione non ha mostrato interesse fattivo alla riqualificazione delle periferie.<br />Non si sta dicendo che non si è fatto nulla a Napoli, finanziamenti, progetti, aggiornamenti, variazioni, concorsi, valutazioni, hanno occupato quasi vent’anni di attività che però non ha prodotto risultati per la gente. Ed è evidente che qualcosa è andato storto e dovrebbe essere ricalibrato: forse i programmi non erano operativi, la capacità di gestione comunale non sufficiente, i finanziamenti colpevolmente dispersi in molti rivoli, il PRG non adeguato. Qualunque sia la spiegazione dei mancati risultati, la nuova Amministrazione deve mostrare di saper gestire questo carico. Se vuole “attuare il PRG”, come essa sembra sostenere, deve trovare rapidamente il “come” superare gli intoppi ventennali e procedere alle riqualificazioni programmate che non chiedono nuovi investimenti.<br />Ma oltre al Comune anche lo IACP si occupa di riqualificare il suo immenso patrimonio. Purtroppo il centenario e meritorio Istituto per le Case Popolari della provincia di Napoli è scomparso in silenzio, cancellato dalla Regione Campania, e attende ristrutturazioni e compiti che hanno, ahimè, il tempo della politica di palazzo. Si tratta anche qui, tanto per ricordare qualche compito, della riqualificazione del quartiere S.Gaetano, da tempo finanziata e progettata ma che è ancora tutta , dopo un decennio, sulla carta .<br />Mentre quindi la riqualificazione può attendere una piccola notizia sulle nuove costruzioni ci fa ben sperare. Il Comune ha prorogato per la seconda volta il bando per la vendita dei suoli a Bagnoli (una prima volta perchè nessuno fu interessato, ora perché spera in maggiori guadagni dovuti alla pubblicità indotta dalle regate), ed ha inserito nel bando, l’obbligo per chi costruirà uffici, commercio e case, di riservare il 5% della quota di case pubbliche alle giovani coppie.<br />In una città che perde ogni anno 7000 residenti di cui la maggior parte giovani, prevedere per il futuro 25 nuovi alloggi pubblici a Bagnoli è cosa certo positiva ma talmente piccola che rimane intatta la colpevole politica urbana in atto da tempo: una decrescita della città senza riqualificazione e sviluppo interno.<br /><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">( Repubblica Napoli , 19.10.2011) </span>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-10571524342780794092011-12-20T12:55:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.839-08:00Il breve addio alle facoltà di architetturaLe storiche facoltà di Architettura del Mezzogiorno d’Italia, Napoli e Palermo stanno per scomparire.<br />Nate oltre mezzo secolo fa, nel 1928 quella di Napoli e nel 1944 quella di Palermo, queste facoltà sono destinate ad essere inglobate da Ingegneria se non interverrà un cambiamento nelle decisioni dei rispettivi Atenei . <br />A prima vista la decisione non è l’effetto di una politica culturale e di formazione universitaria nazionale, ma è il risultato, il “combinato disposto” di due provvedimenti burocratici che mirano alla riduzione delle spese della Università pubblica italiana: la legge Gelmini e i nuovi statuti degli Atenei attualmente in approvazione.<br />Cosi, senza scelte motivate da ragioni culturali e di prospettiva e senza alcun dibattito pubblico, decisioni amministrative e di risparmio economico sconvolgono assetti storici sedimentati che hanno prodotto la figura e il sapere dell’architetto moderno: uno sforzo collettivo nazionale per formare una figura intellettuale e professionale in grado di rispondere alle richieste di valore architettonico degli edifici, di qualità urbana, di dialogo con le stratificazioni storiche delle nostre città e di attenzione al paesaggio che non appartiene a nessun altro campo di studi universitari. <br />Le proteste culturali per simili scelte cominciano a emergere. E’ di pochi giorni fa un accorato appello pubblico di Vittorio Gregotti per un ripensamento virtuoso sulla soppressione della facoltà di architettura di Palermo e spero vivamente che anche da noi i molti architetti/ docenti spendano il loro carisma per sventare un provvedimento amministrativo dal sapore anacronistico e anticulturale. <br />Hanno insegnato nella nostra Facoltà molti importanti architetti di livello nazionale e spesso hanno arricchito la nostra città delle loro opere. Luigi Piccinato, Marcello Canino, Carlo Cocchia, Giulio De Luca, Roberto Pane, Nicola Pagliara, Aldo L. Rossi, Uberto Siola, Massimo Pica Ciamarra, solo per citarne alcuni. E voglio solo notare che la Mostra d’Oltremare non sarebbe esistita con le sue splendide architetture se non ci fosse stata la facoltà di Architettura con i suoi giovani docenti cosi come non avremmo quei quartieri popolari degli anni cinquanta e sessanta che riviste italiane e straniere di quel periodo tanto hanno ammirato e visitato. <br />Staccatasi dall’Accademia di Belle Arti nella quale era nata, Architettura si è costituita come sintesi tra una formazione storica, artistica e tecnica, con un percorso affatto diverso dalle altre scuole europee in quanto rifletteva, fin dalle sue origini, la specificità della cultura architettonica ed urbana italiana. <br />Dopo due decenni di sperimentazioni universitarie anche Architettura ha sommato molti errori: troppi Corsi di Laurea, difesa ad oltranza della corporazione dei docenti, poca apertura alle innovazioni , troppi laureati , ma la unicità della Facoltà ha garantito e garantisce una dialogo ed un confronto critico sul senso e le finalizzazioni del suo operare che è indispensabile al suo avanzamento.<br /> Bisognosa di aggiornamenti nei contenuti e nei metodi piuttosto che di “governance”, la sua sopravvivenza è messa in serio pericolo dall’assoggettamento al forte e diverso campo del sapere tecnico- scientifico degli studi di Ingegneria.<br />Viviamo tempi di progressive settorializzazioni del sapere, di specializzazioni, di osmosi tra discipline diverse, di globalizzazioni, ma è importante non perdere in specificità storica e in appartenenza alla cultura del luogo che è poi il carattere di sempre della buona architettura. <br />Noi siamo l’unico paese europeo che ha consentito a tutti di costruire, dai geometri ai periti edili, agli ingegneri chimici, tanto che solo il 5% degli edifici italiani è progettato dagli architetti . <br />Ma se questa diversità italiana era accettabile nel periodo della ricostruzione post-bellica ora questa pratica, cambiata di pochissimo, è dannosissima perché continua a tenere bassa la qualità delle costruzioni con figure professionali formate per altri scopi. <br />La più grossa scommessa che noi oggi abbiamo in Italia è riqualificare la nostra immane e invivibile periferia del secondo Novecento. Per questo compito gli architetti sono chiamati a dare un contributo civile formidabile, un contributo che si misura solo sulla qualità delle proposte, sulla base di una visione umanistica che esprima idealità civili per un’arte che è al servizio della gente.<br />( Repubblica Napoli, 27.07.2011)sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-68997241635619932232011-08-06T06:15:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.848-08:00L’altra metà del Forum delle culture, Napoli 2013<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:TrackMoves/> <w:TrackFormatting/> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:DoNotPromoteQF/> <w:LidThemeOther>EN-US</w:LidThemeOther> <w:LidThemeAsian>X-NONE</w:LidThemeAsian> 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lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Che l’attenzione <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sulle trasformazioni attuali sia tutta concentrata sul Centro storico e sulla scelta su cosa restaurare ed entro quanto tempo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mi pare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giusto data <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’importanza<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>culturale che esso ha per la nostra città, ma questo interesse non deve far dimenticare un'altra simile questione. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il Forum<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mondiale delle culture 2013 ha infatti due gambe: il Centro storico e la Mostra d’Oltremare, e in questa altra parte di Napoli<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>i restauri<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>hanno <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>uguale urgenza e direi uguale importanza di quelli <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel centro storico.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">L’obiettivo dichiarato della politica Comunale e Regionale <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è approntare un pacchetto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>congruente di opere,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non solo di restauro, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che presentino al meglio la città al Forum 2013, e che nel contempo rappresentino un significativo contributo allo sviluppo economico di Napoli <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>attraverso la <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>valorizzazione dei valori urbani<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e paesistici che questa città possiede.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il troppo tempo trascorso fino ad oggi mette in seria difficoltà il raggiungimento di tali obiettivi pratici entro una data cosi vicina (mancano 600 giorni al Forum) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rimandando i risultati <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a tempi che appare difficile anche contenere entro il 2015 ( scadenza finanziamenti Bruxelles). Nessun esempio<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>europeo ci è stato di aiuto. Marsiglia, capitale europea della cultura 2013 ha uno stesso processo in corso e, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dopo molte polemiche, i lavori urbani previsti e concentrati sul porto vecchio e sul lungomare sono in fase avanzata. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Da noi la politica <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ha<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rimandato<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>decisioni<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma ora<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’urgenza <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dovrebbe <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>far superare rapidamente ogni ostacolo per avviare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un piano di restauri di edifici e ambienti che andrebbe con onestà<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>valutato per quello che può dare al 2013 e al 2015. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Si tratta comunque di evitare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’avvio di stralci funzionali di progetti disegnati che di solito,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alle date previste degli stralci,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non hanno quasi mai <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>realizzato<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una funzionalità pubblica dignitosamente utilizzabile <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La pratica degli stralci ha reso grave danno al paese<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con costruzioni incomplete per svariati anni<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che peggiorarono e peggiorano<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il contesto e il paesaggio.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Su questo giornale ( 31.7. 2011) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un articolo di Aldo Aveta ha giustamente <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>messo l’accento sulla necessità di procedere con cautela e con sapienza nella redazione dei progetti di restauro per perseguire <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la qualità come unica condizione di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>successo delle iniziative <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e delle realizzazioni. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Estenderei questa necessità anche ai restauri alla<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Mostra d’Oltremare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sia in corso sia in relazione al suo uso quale sito del Forum. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Una <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>commissione comunale<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>istituita dall’assessore Belfiore elaborò<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>allora <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>( marzo 2011) delle indicazioni <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>operative condivise dalla Regione ma oggi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nulla si sa delle scelte fatte . <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Sulla Mostra valgono <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>poi le stesse considerazioni che si fanno <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>per il Centro storico, anzi alla Mostra<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>va riservata se possibile un’attenzione uguale e diversa perché sono previsti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>interventi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non solo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di restauro <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma anche di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>riqualificazione e ristrutturazione che, per loro natura, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alterano l’equilibrio <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>architettonico e ambientale di questo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>parco culturale del Novecento che ambisce<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giustamente ad essere inserito nei siti Unesco. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Tempo addietro ebbi modo di fare, su questo giornale ( 11.9.010) alcune osservazioni circa i restauri e le ristrutturazioni in corso <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alla Mostra, indicando i<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rischi di una progettazione e realizzazione che non approfondisce abbastanza <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il rapporto tra necessità attuali e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ed edifici originali. Interpretando il restauro del moderno come pratica poco scientifica e poco vincolata <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>all’originale. Fui rassicurato dal presidente dott. Morra sulle ottime intenzioni circa i restauri in corso con la supervisione della Soprintendenza;<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma oggi con il finanziamento di 40 milioni di euro per il Forum c’è bisogno innanzitutto di sapere<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quali programmi sono stati approvati <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>da Comune e Regione <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e quali messi in cantiere nell’area occidentale. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Per noi il moderno a Napoli non è solo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>villa Oro di Cosenza<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma anche la Mostra il cui peso urbano è di gran lunga maggiore.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: IT;">Anche qui spezzettare interventi sarebbe molto dannoso. Cosa si potrà fare in 600 giorni della Torre delle Nazioni alla Mostra o dell’Ospedale della Pace <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sul decumano non <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è facile da<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>predire. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ci auguriamo presto che si voglia ampliare la partecipazione a questo evento mondiale<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rendendo noti i programmi e i progetti che ci riguardano come cittadini. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;"><span style="font-size: x-small;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">(Repubblica Napoli 3.8.2011)</span></span></span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-45178125271493117012011-07-27T12:09:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.859-08:00Il breve addio alle Facoltà di Architettura<div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Le storiche facoltà di Architettura del Mezzogiorno d’Italia, Napoli e Palermo stanno per scomparire.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Nate oltre mezzo secolo fa, nel 1928 quella di Napoli e nel 1944 quella di Palermo, queste facoltà sono destinate ad essere inglobate da Ingegneria se non interverrà un cambiamento nelle decisioni dei rispettivi Atenei . </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">A prima vista la decisione non è l’effetto di una politica culturale e di formazione universitaria nazionale, ma è il risultato, il “combinato disposto” di due provvedimenti burocratici che mirano alla riduzione delle spese della Università pubblica italiana: la legge Gelmini e i nuovi statuti degli Atenei attualmente in approvazione.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Cosi, senza scelte motivate da ragioni culturali e di prospettiva e senza alcun dibattito pubblico, decisioni amministrative e di risparmio economico sconvolgono assetti storici sedimentati che hanno prodotto la figura e il sapere dell’architetto moderno: uno sforzo collettivo nazionale per formare una figura intellettuale e professionale in grado di rispondere alle richieste di valore architettonico degli edifici, di qualità urbana, di dialogo con le stratificazioni storiche delle nostre città e di attenzione al paesaggio che non appartiene a nessun altro campo di studi universitari. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Le proteste culturali per simili scelte cominciano a emergere. E’ di pochi giorni fa un accorato appello pubblico di Vittorio Gregotti per un ripensamento virtuoso sulla soppressione della facoltà di architettura di Palermo e spero vivamente che anche da noi i molti architetti/ docenti spendano il loro carisma per sventare un provvedimento amministrativo dal sapore anacronistico e anticulturale. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Hanno insegnato nella nostra Facoltà molti importanti architetti di livello nazionale e spesso hanno arricchito la nostra città delle loro opere. Luigi Piccinato, Marcello Canino, Carlo Cocchia, Giulio De Luca, Roberto Pane, Nicola Pagliara, Aldo L. Rossi, Uberto Siola, Massimo Pica Ciamarra, solo per citarne alcuni. E voglio solo notare che la Mostra d’Oltremare non sarebbe esistita con le sue splendide architetture se non ci fosse stata la facoltà di Architettura con i suoi giovani docenti cosi come non avremmo quei quartieri popolari degli anni cinquanta e sessanta che riviste italiane e straniere di quel periodo tanto hanno ammirato e visitato. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Staccatasi dall’Accademia di Belle Arti nella quale era nata, Architettura si è costituita come sintesi tra una formazione storica, artistica e tecnica, con un percorso affatto diverso dalle altre scuole europee in quanto rifletteva, fin dalle sue origini, la specificità della cultura architettonica ed urbana italiana. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Dopo due decenni di sperimentazioni universitarie anche Architettura ha sommato molti errori: troppi Corsi di Laurea, difesa ad oltranza della corporazione dei docenti, poca apertura alle innovazioni , troppi laureati , ma la unicità della Facoltà ha garantito e garantisce una dialogo ed un confronto critico sulle senso e le finalizzazioni del suo operare che è indispensabile al suo avanzamento.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;"> Bisognosa di aggiornamenti nei contenuti e nei metodi piuttosto che di “governance”, la sua sopravvivenza è messa in serio pericolo dall’assoggettamento al forte e diverso campo del sapere tecnico- scientifico degli studi di Ingegneria.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Viviamo tempi di progressive settorializzazioni del sapere, di specializzazioni, di osmosi tra discipline diverse, di globalizzazioni, ma è importante non perdere in specificità storica e in appartenenza alla cultura del luogo che è poi il carattere di sempre della buona architettura. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Noi siamo l’unico paese europeo che ha consentito a tutti di costruire, dai geometri ai periti edili, agli ingegneri chimici, tanto che solo il 5% degli edifici italiani è progettato dagli architetti . </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">Ma se questa diversità italiana era accettabile nel periodo della ricostruzione post-bellica ora questa pratica, cambiata di pochissimo, è dannosissima perché continua a tenere bassa la qualità delle costruzioni con figure professionali formate per altri scopi. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;">La più grossa scommessa che noi oggi abbiamo in Italia è riqualificare la nostra immane e invivibile periferia del secondo Novecento. Per questo compito gli architetti sono chiamati a dare un contributo civile formidabile, un contributo che si misura solo sulla qualità delle proposte, sulla base di una visione umanistica che esprima idealità civili per un’arte che è al servizio della gente.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-top: 0cm;"><span lang="IT" style="font-size: 16pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">(Repubblica Napoli 27.07.2011)</span></span></span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-32131116984408146592011-06-17T23:41:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.869-08:00Formazione post laurea<!--[if gte mso 10]> <style> /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-priority:99; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:""; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:11.0pt; font-family:"Calibri","sans-serif"; mso-ascii-font-family:Calibri; mso-ascii-theme-font:minor-latin; mso-fareast-font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-theme-font:minor-fareast; mso-hansi-font-family:Calibri; mso-hansi-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman"; mso-bidi-theme-font:minor-bidi;} </style> <![endif]--><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Mai come oggi la formazione post- laurea interessa cosi tanti laureandi e laureati; oltre il 50% frequenta tirocini o stage dentro o fuori l’università, mentre vengono sempre più trascurati masters e dottorati: questo in estrema sintesi il quadro che emerge dall’inchiesta Alma Laurea 2010 di cui parleremo meglio in seguito. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">E’ evidente che da un lato il valore reale della laurea si è ridotto notevolmente e poco serve per entrare nel mondo del lavoro, dall’altro, il mercato ha innalzato le sue richieste e chiede specializzazioni e professionalità che la laurea non riesce ad offrire: insomma una laurea che si dequalifica e un mondo del lavoro poco disposto a investire in tempo e soldi per la formazione dei suoi dirigenti e tecnici. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Conferme arrivano da più parti. In una recente intervista giornalistica diversi</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;"> “ cercatori di cervelli” per conto di grandi aziende di livello europeo, raccontavano come esse non ritenessero più come importante il voto di laurea o il regolare corso degli studi ma soprattutto cercassero giovani laureati con frequenza di stage in azienda e formazione pluri-diretta anche fuori il campo specifico dei loro studi universitari. Anche il Censis è dello stesso avviso: basta corsi inutili meglio fare praticantato in azienda.</span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">In questo quadro che statistiche e autorevoli opinioni confermano cosi come le frequenti disillusioni pubbliche che molti giovani affidano ai media, va aggiunto che l’università sembra molto più preoccupata di se stessa come struttura che della validità della formazione che offre e della sorte dei suoi laureati.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">L’università appare schiacciata come non mai da tensioni opposte tese da una parte ad una sua re-interpretazione quale azienda speciale di ricerca e formazione di eccellenza e dall’altra quale scuola di massa con profili soprattutto didattici. Ridimensionata da significative, anche se non drastiche, riduzioni di soldi pubblici e di docenti, essa è intrappolata da logiche rivendicative, da lobbies professorali, da impermeabilità a valutazioni esterne ad essa intorno sia sui metodi di promozione dei suoi dirigenti (lo sono tutti i professori) sia sui risultati conseguiti nel mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca. Una risposta, già in corso in alcune realtà del nord est, è la creazione di poli universitari con enti pubblici territoriali, aziende e mondo bancario. Una specie di uscita dall’ambito pubblico verso un ambito pubblico-privato teso a superare la riduzione dei finanziamenti, attrarre studenti, mettersi in concorrenza con altre università in una prospettiva federalistico – territoriale che probabilmente lascerà al palo, nel futuro prossimo, le università “ tutte pubbliche”.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Appare quindi molto sfasato l’attuale dibattito sui modi del rinnovo della docenza e della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">governance</i> dell’università pubblica che non sarà sufficiente ad arrestare l’attuale degrado del valore della laurea dimostrato dalla crescente richiesta di ulteriore formazione postlaurea sui cui l’Università pubblica poco investe.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Ogni facoltà e ogni Ente fa da se in questo campo post laurea, in un mercato dove mancano politiche e criteri nazionali di verifica della qualità, degli obiettivi proposti e raggiunti e dei costi complessivi. E’ veramente difficile per un laureato scegliere un master o uno stage, valutarne la sua utilità, capire se gli obiettivi proposti sono frutto di retorica propagandistica o vicini alla realtà. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Purtroppo i dati disponibili sulle università italiane (Alma Laurea 2010) non raccontano la qualità dei masters o degli stage o dei dottorati ma solo quella dei tirocini obbligatori. Nemmeno è monitorata la qualità ed i risultati occupazionali dei Corsi di formazione professionale che, notoriamente ben finanziati dalla politica, sono gestiti dalle Regioni. </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Nelle università i tirocini sono organizzati dalle facoltà sia all’interno che all’esterno di essa con apposite convenzioni che di solito prevedono un monte ore tra 250 e 400. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Il tirocinio obbligatorio, di tipo formativo e di orientamento, viene riconosciuto con circa 9 crediti, al pari di un esame importante. La scelta degli studenti è orientata a privilegiare i tirocini esterni in aziende pubbliche, private, Ordini, evitando invece quelli interni poco qualificanti perché tenuti dagli stessi docenti che fanno didattica. Naturalmente ci sono eccezioni e situazioni come le Cliniche e le facoltà con Laboratori conto terzi. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Ad architettura per esempio pochi scelgono i tirocini all’interno delle facoltà, circa il 9%, mentre il 18% sceglie quelli in Enti pubblici e, la maggioranza, circa il 65%, opta per quelli in aziende private /studi professionali; quasi nessuno sceglie gli Enti di ricerca anche perché sono come mosche bianche.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Sorte infelice sta accadendo ai dottorati di ricerca, formazione d’eccellenza nella ricerca universitaria e una volta banco di prova della qualità di una facoltà e dei suoi docenti. La riduzione delle borse di studio, la poca ricerca praticata dai dottorandi “senza borsa” e l’inutilità pratica del titolo al di fuori dell’università stessa, stante la mancanza di Enti di ricerca sul mercato, li hanno trasformati in una specie di scuola di formazione magistrale per futuri docenti ed, in attesa, in piccolo sostegno didattico a professori ormai privi da tempo di assistenti.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Incredibilmente anche i masters hanno vita difficile, anche se va detto che i dati nazionali non riflettono, anzi oscurano, singole valide esperienze di alta qualità; ma la variabilità e spesso l’evanescenza dei loro contenuti, in mancanza di riscontri nazionali e di un certo valore d’uso, ne hanno fatto perdere di molto l’appeal.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Se si guarda all’offerta formativa appare evidente che sono poco credibili quei masters che propongono formazione in campi dove il territorio di appartenenza della facoltà non eccelle, dove non si riscontrano aziende innovative interessate, o dove la qualità della proposta si regge su figure di spicco ma non di stabile presenza. Ogni facoltà ha la chiara percezione in quali masters potrebbe eccellere anche sul piano di una concorrenza nazionale, ma essa non esercita politica di indirizzo né di coordinamento per lo meno regionale; il suo compito sembra limitarsi alle lauree ed è già segno di qualità se riesce a mitigare corsi di laurea strampalati o privi di una struttura stabile di insegnamento.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Sugli stage mancano dati statistici sulla frequenza e sulla qualità, e questo è già un dato significativo; essi riguardano i laureati che svolgono attività senza compenso, in aziende convenzionate con l’università per un periodo da tre a sei mesi. Non ci sono inchieste sull’uso effettivo di questi laureati, si dice che lo stage incrementa le possibilità occupazionali di un 6%. Occorrerebbe una certificazione di qualità delle aziende che impiegano gli stagisti, se si vuole che l’apprendistato sia poi spendibile sul mercato.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Circa il 45 % dei laureati architetti si inserisce in un mondo professionale di 140.000 professionisti: la più alta concentrazione europea di architetti per abitante. Ma a tale grandissimo numero vanno aggiunti - l’Italia è l’unico paese europeo ad avere cosi tante figure che si occupano di edilizia - gli ingegneri edili, i nuovi ingegneri-architetti, i geometri. Vanno ancora sommati i nuovi arrivati con le lauree triennali, architetti e ingegneri che, in mancanza di una chiara normativa circa le loro competenze professionali - un colpevole lassismo del Ministero e degli Ordini - esercitano, di fatto, il mestiere privato dell’architetto quinquennale. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">I dati disponibili sulla formazione postlaurea dal 2002 al 2009 (AlmaLaurea 2010) ad Architettura mostrano un notevole trend di crescita dei tirocini e degli stage arrivati ad una percentuale di tirocinanti pari al 17% dei laureati, di stagisti pari al 21 %, mentre è sorprendente il trend in continua discesa nella scelta dei dottorati ( 5% ), dei masters ( 4%) e dei Corsi di formazione professionale ( circa 10%.). </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Vale la pena infine fare qualche osservazione sull’Esame di Stato, primo passo che dall’Università porta nel mondo del lavoro e all’iscrizione negli albi professionali. E’ noto che tutti i laureati lo sostengono quanto prima possibile e vagano da sede in sede per poterlo superare più agevolmente. Ad alcune professioni viene richiesto prima dell’esame, un tirocinio professionale che, nel caso degli avvocati, raggiunge i due anni.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">L’esame di stato è gestito malissimo da Università e Ordini, quasi fosse espressione di un retaggio corporativo reso ancora più difficile (legge 328/2001) con addirittura 4 prove da svolgere. La cattiva e irresponsabile gestione dell’esame (commissione composta da 5 membri, tre proposti dagli Ordini e due, compreso il Presidente, proposti dall’Università) che consente l’iscrizione all’Albo professionale è il prodotto di un totale disinteresse formativo. Nessuna seria preparazione viene fornita su materie prettamente professionali come legislazione, normative e tecnica. In compenso, nonostante le 4 prove previste , e con colpevole cinismo soprattutto in un mestiere come l’architetto che costruisce nel e per il sociale, la grande maggioranza dei laureati lo supera senza aver fatto in sostanza una minima pratica in studio. </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">I dati statistici forniti da Alma Laurea fotografano una realtà di laureati che si sta orientando diversamente dalle principali proposte di formazione post laurea delle Università pubbliche. Essi cercano formazione specialistica e apprendistato e poco sono attratti dalle offerte standard delle Università, come dottorati e masters. E’ evidente che è necessaria una diversa politica sulla formazione: il pezzo di carta non serve più e il valore legale del titolo di studio si è quasi liquefatto. Considerando poi che le aziende non hanno più voglia di investire, come una volta, tempo e denari per formare manager e tecnici e li vogliono “pronti all’uso”, il necessario completamento della formazione ricade, alla fine, sui singoli laureati.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Il Censis sostiene la necessità di un grande piano nazionale sulla formazione in azienda ma bisognerebbe anche rinnovare i programmi ed i metodi dei corsi universitari e i loro docenti se si vuole una università pubblica che, avvicinandosi alle aziende, aumenti la spendibilità dei suoi titoli sul mercato del lavoro. La mancanza di una proposta di qualità, governata e monitorata sulla formazione post laurea ne è forse il più chiaro segno. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Modifiche di governance e razionalizzazioni interne non bastano all’università pubblica per superare i limiti della vecchia cultura del monopolio formativo. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">La spesso perdente competizione con le università straniere , il tempo lungo di una formazione generica , poco stringente e poco selettiva, la mancanza di aggiornamento dei docenti e dei programmi, il proliferare di corsi inutili e la disattenzione alle richieste del mercato e alla formazione post laurea , sono tutti fattori di grande indebolimento dell’eccellenza dell’ <i style="mso-bidi-font-style: normal;">alma mater studiorum </i>italiana.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;">pubblicato su ATENAPOLI del 10/2010</span> </span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-16293207695450137002011-05-12T03:04:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.878-08:00Abbattere le Vele e poi ?<a class="send" href="mailto:?subject=Articolo%20di%20Repubblica.it%20&body=http%3A//ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/05/10/abbattere-le-vele-per-poi-fare-che.html"><br /></a>E LE periferie? Non sono nell' agenda dei quattro candidati a sindaco e non compaiono tra le cose importanti e urgenti da fare per Napoli. I temi urgenti secondo Morcone, de Magistris, Lettieri e Pasquino, emersi nell' incontro avuto a "Repubblica", sono: centro storico, rifiuti e termovalorizzatore, Bagnoli; le periferie sono considerate meno urgenti. Solo l' abbattimento delle quattro Vele superstiti è da tutti e quattro considerato indispensabile. Sembra in effetti il de profundis per questi ingombranti relitti o land mark - secondo le opinioni - dell' edilizia pubblica degli anni Settanta. Certo la convergenza di tutti i candidati sull' abbattimento fa riflettere così come, del pari, la mancanza di ogni proposta sul dopo abbattimento. C' è una specie di gara intorno alle Vele: tanto più aumenta l' interesse nazionale per questi giganti edilizi e cresce una riflessione culturale che infoltisce il gruppo dei sostenitori della conservazione e riuso (si è formato un autorevole comitato "Salviamo le Vele" sostenuto dal sovrintendente Stefano Gizzi insieme con altri eccellenti architetti non solo napoletani) tanto si radica il giudizio negativo popolare e soprattutto politico, che non accetta ripensamenti. Da una parte, eliminando le Vele sembra si voglia cancellare un' intera stagione negativa dell' edilizia pubblica, quella degli anni Settanta, da molti ritenuta un prodotto sbagliato della cultura di sinistra italiana. Dall' altra, si sostiene che le Vele, al pari di altri interventi coevi, vanno conservate e recuperate come memoria di una stagione dell' architettura italiana, generosa e immaginifica, che voleva disegnare con quelle "urbatetture", come le chiamò Bruno Zevi, una città diversa.A Roma il sindaco Alemanno ha recentemente proposto la demolizione del quartiere di Tor Bella Monaca facendo proprio un progetto di Leon Krier che propone al suo posto una specie di città giardino grande più del doppio dell' attuale quartiere. Stessi dilemmi sorgono anche per lo Zen di Palermo, il Corviale e il Laurentino a Roma, tutti accomunati dalla stessa ideologia della grande dimensione che è stata una grande scommessa purtroppo persa: sul piano del quartiere infatti questa tendenza macrostrutturale ha prodotto solo peggioramenti di vita. Naturalmente l' attuale concordia demolitoria a Napoli sembra avere più carattere politico propagandistico che operativo, visto che non ci sono finanziamenti per riqualificare i quartieri di periferia che invece andrebbero considerati la più importante questione urbana sul tappeto, insieme alla salvaguardia del paesaggio, di tutto il nostro paese. Ciò che appare importante conoscere è cosa si vuole fare dopo gli abbattimenti o dopo le demolizioni non solo delle Vele ma anche, per esempio, di quartieri come Taverna del Ferro a San Giovanni che sono afflitti da problemi simili. A Roma, per esempio, la proposta di realizzare una città-giardino al posto di Tor Bella Monaca ha fatto sorridere molto pubblico nei diversi convegni indetti: ma come, si sono chiesti in molti, torniamo alla Garbatella e ci giochiamo tutta questa campagna vergine ancora non cementificata? A Napoli invece non ci sono proposte così chiare sul dopo e nemmeno sul prima. Da sedici anni per esempio i pochi progetti di recupero della periferia messi in campo e finanziati non sono stati realizzati a dimostrazione che qualcosa di storto si è verificato sia nelle previsioni di Prg sia nella capacità operativa del Comune. E sarebbe utile se oggi la politica, in procinto di guidare il Comune, s' interrogasse su che cosa è andato storto e proponesse contro misure e cambiamenti. Le Vele hanno attualmente una condizione diversa dagli altri quartieri citati. Esse sono quasi disabitate. I "velisti" hanno già avuto un alloggio dove andare (pare ne manchino ancora una cinquantina), e hanno lasciato di buon grado quelle case dove malvolentieri erano stati messi e che avevano da subito vandalizzato. Progettate alla maniera degli ordinari edifici 167 costruiti a Scampia, le nuove case pubbliche hanno inconI trato apprezzamento: insomma sono più vicine ai desideri che fin dall' inizio quegli inquilini dovevano avere. Non essendoci quindi un' urgenza sociale ma solo un' urgenza di decisioni, la politica e la cultura avrebbero tutto il tempo per approfondire l' utilità degli abbattimenti totali o parziali e/o la possibilità del loro riutilizzo. Si tratta di circa 780 appartamenti suddivisi in quattro edifici. Servirebbe allora un programma di riqualificazione, per lo meno dei lotti L e M, un programma per la creazione di un quartiere mai nato, nel quale le Vele potrebbero giocare un ruolo diverso da quello residenziale: abbattute parzialmente e/o usate come terziario e laboratori, o come studentato, o infine magari vendute ai privati. Insomma potremmo essere più coraggiosi e pensare a un futuro di Secondigliano che, nato nel 1964 con un piano-non piano, libero e senza forma, ispirato da Giulio De Luca, è rimasto senza validi collegamenti con la città (salvo la recente fermata della linea 1), pieno di case popolari e con grandi strade intorno a un chimerico centro direzionale (oggi poco utilizzabile parco urbano). Certo non possiamo aspettare che a decidere sia il tempo con lo sbriciolamento delle strutture abbandonate e il ritorno alla terra di quei giganti, perché il tempo che produce rovine è finito: solo l' architettura antica infatti produce splendidi ruderi, mentre quella attuale si distrugge solamente e non lascia tracce. Ma se demolire costa e ai materiali demoliti bisogna anche dare un uso intelligente, la riqualificazione costa ancora di più, e ancora di più che fare case nuove. Ciò che non si può fare invece è recuperare, perché quelle case sono irrecuperabili. L' originale progetto di Francesco Di Salvo, infatti, non è recuperabile: esso non fu mai costruito; al suo posto l' impresa e i suoi tecnici costruirono un deforme simulacro che aggravò alcuni difetti già presenti in parte nel progetto e nelle norme Gescal, introdusse la prefabbricazione totale, la trasformazione strutturale delle strade pensili, la variazione del numero e del taglio degli alloggi previsti, la esiziale riduzione dello spazio interno; quello spazio da carcere piranesiano da dove gli abitanti sono fuggiti. Esiste un approfondito studio sulla riconversione parziale delle Vele prodotto dalla Facoltà di Architettura (condotto dal professor Antonio Lavaggi), mai utilizzato dal Comune e dal quale si potrebbe invece ripartire per sfidare con l' architettura un esperimento finito male. Qualunque soluzione si voglia praticare per le Vele così come per la sterminata periferia, serve un impegno credibile della politica su ciò che si può fare per riqualificare non tanto e non solo gli edifici ma soprattutto i luoghi dove vive la gente. © RIPRODUZIONE RISERVATA<br />- <em class="author">SERGIO STENTI </em>10 maggio 2011<em class="author"> Repubblica Napoli </em>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-19838859121362183702011-04-07T13:47:00.000-07:002014-01-02T12:18:27.888-08:00Bagnoli e l'ex Manifattura Tabacchi, Napoli<!--[if gte mso 9]><xml> <o:OfficeDocumentSettings> <o:RelyOnVML/> <o:AllowPNG/> <o:TargetScreenSize>1024x768</o:TargetScreenSize> </o:OfficeDocumentSettings> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:TrackMoves/> <w:TrackFormatting/> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> 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operazioni immobiliari, poi si vedrà. Sempre più la riqualificazione sembra poggiare su come attrarre gli investitori privati ma tale interesse, almeno fino ad oggi, non è stato incentivato con la conseguenza che si è anche bloccato ogni intervento pubblico non autosufficiente. Infatti, sia gli interventi i privati<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sia quelli pubblici non hanno prodotto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>da oltre ventanni interventi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>concreti di una certa consistenza, per esempio <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un quartiere o<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un complesso<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>urbano, ma al massimo qualche edificio o complesso per il commercio.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Giganteggiano in tale pochezza le linee metropolitane, straordinario intervento per la città, qualificato dalle stazioni dell’arte della linea 1 che purtroppo, però non riescono ad arricchirsi della stazione dell’aeroporto, impedendo la chiusura dell’anello, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>decisivo per la mobilità urbana. Tra le molte cause responsabili di questa situazione di blocco si possono elencarne alcune: la rigidità del PRG, farraginose norme urbanistiche e procedurali, ritardati pagamenti a 30 mesi alle Imprese da parte del Comune, un’illegalità scoraggiante. E’ noto che Napoli ha urgente bisogno di riqualificare la periferia e di restaurare il centro storico. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La città ha sovrabbondanza di terziario e scarsezza di abitazioni, parchi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e buoni trasporti, mentre non manca di attrezzature ( almeno sulla carta). Mancando risorse pubbliche la riqualificazione e il restauro si possono fare solo con gli investitori privati che non si sono mostrati interessati alle proposte comunali. Giusto o sbagliato che sia tale atteggiamento le conseguenze sono state, mancanza di case civili e a buon mercato, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un aumento dell’abusivismo nei comuni confinanti, una emigrazione consistente (7000 persone all’anno) , una trasformazione strisciante del centro storico attraverso volgari frazionamenti che snaturano le tipologie edilizie storiche, un aumento dei prezzi degli appartamenti.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 115%;"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT;">La politica non ha saputo porre un argine a questo stato di cose, anzi è sembrato che lavorasse per la decrescita della città piuttosto che per il suo sviluppo. Prevedere uno sviluppo basato sul terziario è stato un errore che poteva essere superato aggiornando semplicemente solo alcune norme del PRG, per esempio il rapporto tra terziario e residenze. Chi costruirebbe oggi a Ponticelli o a Soccavo edifici che devono contenere il 60% di terziario e il 40% di appartamenti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di cui parte per social housing<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e cioè con prezzi agevolati ? A Bagnoli la sconfitta delle previsioni del PRG ha costretto il Comune a rivedere il mix tra terziario e residenze ampliando la quota di case e incrementandole della maggiore cubatura concessa dal Piano Casa Regionale. Con logica conseguenza tale variazione andrebbe estesa a tutta la periferia: più case e meno terziario. Si avrebbe cosi a parità delle cubature previste un incremento considerevole di almeno 10.000 abitazioni di cui 3000 per social housing. Ancora poche per la verità per un fabbisogno stimato sui 50/80.000 alloggi necessari,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma che i<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>evidentemente non sono costruibili nel territorio comunale. Una tale quantità di sviluppo necessità<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una politica di accordi intercomunali e/o metropolitani di cui non c’è traccia concreta. Non solo ma un territorio comunale piccolo non può nemmeno accogliere ulteriori urbanizzazioni, la sua densità abitativa raggiunge già livelli molto alti ( 8500 ab/kmq) per cui è auspicabile che ai pochi nuovi interventi già<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>previsti non si aggiunga nemmeno un metro cubo che occupi il prezioso suolo libero. Meglio indirizzare lo sviluppo nelle ristrutturazioni e nelle densificazioni.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 115%;"><span lang="IT" style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT;">In altri paesi come Inghilterra e Germania sono in atto politiche urbanistiche di contenimento del consumo di suolo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con limitazioni a nuove urbanizzazioni. In Inghilterra il consumo di suolo nazionale è limitato a 40 ha/giorno ( in Italia consumiamo 130ha/giorno, dati lega ambiente 2011) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mentre in Germania il 70% delle nuove costruzioni deve essere fatto in aree già urbanizzate. Anche da noi si dovrebbe puntare in primis a contenere le espansioni urbane, a riqualificare l’esistente già urbanizzato. Non solo ma anche il modo di costruire dovrebbe cambiare. Invece che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>costruire quartieri a bassa densità edilizia e con basse altezze ( 12/15 mt.)<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sarebbe preferibile <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>costruire quartieri in<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>altezza,, lasciando aree libere per necessità collettive e per buoni trasporti. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Piccole modifiche, non rivoluzionarie, potrebbero farci superare l’attuale blocco della città e avviarci verso uno sviluppo sostenibile. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-family: Kalinga; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">( pubblicato su Repubblica napoli, il 6.04.2011)</span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-81126187990280015492011-01-15T09:11:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.925-08:00Periferie modello Detroit<div class="MsoNormal"><b><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 24pt;"></span></b></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;">Si sta attivando un dibattito pubblico molto interessante sui temi dell' urbanistica della città che ruota su due domande fondamentali: quale idea di città deve guidare i cambiamenti necessari e quale periferia vogliamo e possiamo proporre. Sforzandosi di prefigurare scenari possibili, esso dovrà approfondire le ragioni di una mancanza di risultati nonostante un preciso e motivato piano regolatore. G li obiettivi del piano erano semplici, nessuna espansione edilizia, riqualificazione del tessuto esistente e del verde e soprattutto dell' immensa periferia formatasi nel dopoguerra e riconversione delle aree dismesse. Difficile dire che percentuale è stata raggiunta rispetto a questi obiettivi, ma comunque le condizioni di vivibilità sono peggiorate e lo sviluppo basato sulla riqualificazione non c' è stato. Abbiamo continuato a mandar via coppie giovani al ritmo di oltre 5000 persone l' anno, senza migliorare il verde e accumulando ulteriore fabbisogno di case. Del resto non riuscendo a realizzare o riqualificare grandi quartieri in città e nemmeno fuori di essa perché ogni Comune non cede sovranità e l' area metropolitana ipotizzata come scenario è di là da venire, come poteva verificarsi uno sviluppo della città senza espansione? Poteva, com' è accaduto, aggravarsi l' intasamento e l' abusivismo edilizio nei Comuni della cintura intorno Napoli, aggrovigliando quella corona di spine che Nitti denunciava un secolo fa come prodotto della miseria del Sud. Se si riflette sulle attuali possibilità di edificazione in periferia, si scopre che la parte maggioritaria è prevista come terziario o laboratori produttivi e tale previsione, che forse andava bene dieci anni fa, oggi non corrisponde più alle necessità cittadine. A Milano, per fare un esempio, il Comune si è impegnato a proporre una variante all' Expo 2015 per aumentare la quota di residenze previste e abbassando di conseguenza il terziario previsto. Si tratta in sostanza di proporre aggiustamenti e correttivi, senza stravolgimenti urbanistici, in modo tale da favorire lo sviluppo sostenibile. Un convegno e una mostra a Palazzo Reale ("Mies van der Rohe e il Lafayette park", a cura di Università Federico II, Facoltà di Architettura e Ordine degli architetti, inaugurazione oggi ore 1018) possono essere di stimolo a una riflessione sul come riqualificare la periferie. In particolare la mostra illustra un intervento che ci viene dagli Usa, un grande quartiere nella città dell' automobile, a Detroit, che vuole proporre un modello di eliminazione degli slums. Non è certo una forma d' insediamento immediatamente applicabile alle nostre città del Sud abituate alla strada come luogo di relazioni, ma, superata un po' di retorica sulla città meridionale, non potrebbe essere arricchita la nostra esperienza accogliendo ciò che vi è di veramente innovativo? Si tratta di un grande quartiere edificato intorno a un parco residenziale pedonale con poche attrezzature pubbliche e un adeguato centro commerciale. Vi viene espressa l' idea moderna dell' abitare nel verde che ha attraversato tutto il Novecento e che qui ha trovato una eccezionale soluzione. Case alte per coppie più o meno giovani, case basse per famiglie numerose, case a schiera per la tradizionale famiglia americana. Niente palazzine dunque, ma uno studio del paesaggio e un senso di comunità inaspettato che è testimoniato dal film sulla vita degli abitanti in proiezione alla mostra. Il successo del quartiere si basa sulla qualità dell' urbanistica di Hilberseimer e sulla qualità degli edifici di un architetto d' eccezione, Mies van der Rohe, che ha disegnato le case a basso costo del Lafayette park, dopo che per tutta la vita aveva disegnato case per ricchi borghesi e grattacieli per le Corporates. Purtroppo il parco residenziale moderno ha una cattiva reputazione a Napoli: le Vele di Franz Di Salvo a Scampia altro non erano che un tentativo di case alte nel verde, ma sono state realizzate male e peggio abitate. Con questo non voglio dire che non si possa cercare di farle sopravvivere, in qualche modo, ma certo erano e sono poco adatte a famiglie disagiate con bambini. Il quartiere americano invece appare più in sintonia con gli usi abitativi locali pur aderendo poco all' american way of life delle case unifamiliari isolate col giardino e il garage. Tornando a Napoli e rimarcando il giusto indirizzo del piano regolatore di non espandere la città e di creare luoghi residenziali in periferia attrattivi e soddisfacenti il nostro alto fabbisogno, perché non pensare, nell' attesa di costruire le case dei napoletani fuori provincia, a nuovi quartieri ecologici, ma che usano edilizia mista e grattacieli per giovani coppie e single?</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;"><br /><i> </i></span></div><span lang="IT" style="font-family: "Courier New",Courier,monospace; font-size: 12pt;">(pubblicato 26 ottobre 2010 — NAPOLI- Repubblica)</span>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-47080327044579952312011-01-15T08:58:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.935-08:00Case a prezzi accessibili per le giovani coppie<!--[if gte mso 9]><xml> 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interessato quasi nessuno in Italia. L’ammontare dei finanziamenti pubblici del Piano di edilizia abitativa <span> </span>è ancora molto esiguo (140 mln di euro),<span> </span>ma le promesse <span> </span>politiche di maggiori finanziamenti non mancano ( si parla di un miliardo di euro); essi andranno a coprire il 40% dei costi per gli alloggi mentre il 60% dovrà essere trovato localmente da investitori privati, Fondazioni bancarie,<span> </span>Amministrazioni pubbliche,<span> </span>Imprese, Enti di gestione, etc. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Il Social Housing di cui parliamo non riguarda case pubbliche<span> </span>ma case private<span> </span>per soggetti economicamente deboli a<span> </span>prezzi calmierati.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Si parla di prezzi più bassi di circa il 30% rispetto a quelli di mercato, prezzi quindi raggiungibili da ceti medio bassi che oggi non riescono né a comprare né a fittare case dignitose. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Ma oltre i prezzi calmierati l’edilizia sociale differisce dai quartieri pubblici anche per una sua diversa filosofia, simile per certi versi a quella Ina Casa del piano Fanfani del 1949. Intanto si prevede che i progetti siano più attenti non solo alle case ma alle relazioni tra gli abitanti, </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">ci siano cioè strumenti per una maggiore socialità, poi <span> </span>sono previste forme semiautonome di gestione degli alloggi e dei spazi sociali, inoltre le <span> </span>modalità di uso degli alloggi <span> </span>vengono differenziate in proprietà, riscatto e fitto, ed infine alle funzioni residenziali sono integrate servizi e commercio.</span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Insomma è un passo avanti ed uno indietro rispetto all’edilizia pubblica tradizionale.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Avanti perché immagina quartieri più vivibili e a gestione privata integrata; <span> </span>indietro perché le case sono private e dovranno rendere un tasso interessante (si parla di un +3% oltre inflazione) per invogliare investitori privati, cosa non scontata al sud a causa di perturbazioni come illegalità e abusivismo.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">In fondo il successo, ovvero la quantità di alloggi sociali da mettere sul mercato,<span> </span>dipende <span> </span>da quanto i privati credono in questa iniziativa, considerando<span> </span>l’enorme fabbisogno esistente ( solo a Napoli è stimato in oltre 50.000 alloggi che non vuol dire però 50.000 acquirenti ). Dipende <span> </span><span> </span>dall’ammontare degli<span> </span>investimenti pubblici<span> </span>e dalla <span> </span>collaborazione e capacità degli Enti locali di mettere suoli,<span> </span>ridurre contributi e superare le croniche difficoltà e ritardi nelle procedure e soprattutto garantire <span> </span><span> </span>la sicurezza dei cittadini abitanti. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Senza guardare all’Olanda dove il social housing è molto diffuso, anche da noi, pur in presenza di scarsi finanziamenti pubblici, <span> </span>iniziative di una certa entità si stanno realizzando a Milano e a Parma.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">E’ proprio di alcuni giorni fa la presentazione di un progetto di 110 alloggi della Compagnia delle Opere alla Bicocca con affitti da 500 euro mensili<span> </span>per<span> </span>tre stanze e soprattutto<span> </span>la Fondazione<span> </span>Housing<span> </span>Sociale<span> </span>sta costruendo in due aree periferiche, dopo aver fatto un concorso di architettura con ottimi risultati,<span> </span>oltre 500 alloggi sociali. A Parma inoltre, la Parma Social House ha in programma, d’intesa col Comune, la realizzazione in due anni di 1100 alloggi sociali.</span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Il Social Housing dovrebbe affiancarsi quindi ad altri interventi pubblici per essere significativo nella <span> </span>riqualificazione delle periferie: edilizia pubblica , programmi di recupero, contratti di quartiere etc. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Purtroppo l’esperienza dei Piani di Riqualificazione Urbana, con un meccanismo d’intervento pubblico-privato piuttosto complesso, è stata abbastanza deludente e a Napoli poi, in quindici anni, non si è riusciti a costruire nemmeno una casa scontando anche uno scarso interesse delle Imprese. E’evidente che è molto complesso, costoso e lungo il processo di riqualificazione e le scorciatoie della demolizione e ricostruzione ogni tanto fanno capolino nella stampa nazionale; ma tutto scompare dopo pochi giorni, quando quegli atti criminali compiuti nei casermoni pubblici che hanno esaltato il problema della periferia pubblica degradata sulla stampa, vengono dimenticati.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">A Napoli il quartiere De Gasperi a Ponticelli,<span> </span>600 alloggi degli anni cinquanta,<span> </span>era previsto da demolire e ricostruire con un bel progetto vincitore di concorso; ma sebbene finanziato,<span> </span>in cinque<span> </span>anni il Comune non è stato in grado di effettuare l’intervento.<span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Se guardiamo al recente passato napoletano la capacità di realizzare interventi abitativi in grado di ridurre l’emergenza sociale è stata assai scarsa sia da parte dell’Amministrazione Comunale sia da parte delle Imprese private. Dopo l’emergenza dei<span> </span>20.000 alloggi<span> </span>pubblici del dopo terremoto del 1980,<span> </span>assai problematici come socialità e durata delle strutture,<span> </span>nessun quartiere decente è nato negli ultimi vent’anni, <span> </span>né pubblico né privato; solo sparse case abusive di cui <span> </span>i<span> </span>600 alloggi <span> </span>di Casalnuovo sono un sintomatico esempio di mostruosità e allarme. Niente di simile è successo a Roma o a Milano, dove sono nati grandi interventi edilizi (si pensi a Parco Leonardo a Roma) che hanno offerto possibilità abitative a prezzi di mercato si intende;<span> </span>prezzi che<span> </span>comunque sono inferiori a quelli di Napoli per beni analoghi.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">E’ evidente che la periferia da risorsa è diventata ostacolo ed il suo degrado non solo è un problema sociale difficilissimo<span> </span>ma si allarga e opprime i quartieri intermedi e peggiora anche il centro storico <span> </span>oltre che privare di futuro i giovani napoletani.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT">Se l’iniziativa finanziaria del Social Housing meridionale avrà successo e le amministrazioni locali e regionali daranno il loro fattivo contributo, si ridurrà<span> </span>di un poco il drammatico disagio abitativo e il degrado di periferie inabitabili. <span> </span>Sappiamo tutti che non è più stagione di edilizia pubblica, ma il fabbisogno abitativo è veramente grande e richiede grandi investimenti pubblici e privati e molta lungimiranza politica per non costringere la maggioranza dei nostri figli a trovare casa altrove. </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal" style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;"><span lang="IT">Pubblicato su “La repubblica” Napoli del 1.10.2010</span></div><div class="MsoNormal"><br /></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-78464374166543554112011-01-13T03:32:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.946-08:00Accettiamo la sfida sugli anni di Achille Lauro<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:TrackMoves/> <w:TrackFormatting/> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> 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Ingegneria.<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Provocazione intellettuale perché, ritenendo di non avere forti pregiudizi, una rivisitazione con occhi meno ideologici e forse più distaccati da quelli degli storici sopra citati, potrebbe essere utile a ricollocare, nel quadro cittadino attuale, un periodo e un insieme di opere che forse merita maggiore attenzione. Accettando la sfida e la provocazione, vorrei solo fare due osservazioni a un argomento e a un’iniziativa che, nel colpevole immobilismo di questi quindici anni, potrebbe agitare positivamente le acque<span> </span>stagnanti di una paralisi urbanistica che sta danneggiando enormemente il futuro di questa città e soprattutto i suoi giovani abitanti.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Intanto, come osservato da Giovanna Muzzillo su questo giornale ( 8.1.010) <span> </span>estenderei l’indagine sul <span> </span>periodo laurino a due decenni, 50-60 e 60-70<span> </span>che certo sono diversi, <span> </span>ma riconducibili alla stessa insofferenza delle classi dirigenti di quel periodo per ogni regola urbanistica o semplicemente edilizia; nel 1959 Samonà osservava, Napoli rifiuta i piani,<span> </span>ed in realtà il rifiuto proveniva da un bisogno padronale di avere mani libere nell’usare la rendita e la fame di case<span> </span>come leva per superare qualsiasi intralcio democratico. Si praticava l’opposto del principio costitutivo di una tradizionale cultura del fare città: il principio d’ordine. L’istanza di modernizzazione emergente dal paese e il miglioramento economico post bellico venivano piegati a fini particolari anche col malgoverno. Il lassez-faire praticato a Napoli era in linea con quello nazionale, solo un po’ più cinico e baro. <span> </span>Esso consentiva cementificazioni e aumenti di cubature perfino in zone panoramiche e intoccabili vietate anche dal riutilizzato Regolamento Edilizio del 1935. <span> </span>( via Manzoni, via Michelangelo, via Orazio, via Nevio, etc). In periferia, l’indifferenza all’abusivismo, avrebbe prodotto una città illegale come Pianura.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">La seconda osservazione riguarda la distinzione tra architettura e città. Il Novecento, a differenza dell’Ottocento, com’è noto, ha praticato disinvoltamente tale separazione che è iniziata a Napoli proprio nel dopoguerra e che ha visto successivi fallimenti urbanistici nella periferia costruita degli anni settanta qualche volta anche in presenza di architetture di qualità.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><br /></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Negli anni cinquanta la costruzione della città sulle colline avveniva in spregio dei caratteri paesistici, della misura edilizia della città della storia, delle regole moderne di distanza tra strade ed edifici e di dotazione di verde. La modernità laurina produceva brutture come l’intensivo rione Carità col suo “bel” grattacielo o il caotico villaggio Lauro (in nomine fatum); ma anche interventi positivi come la sistemazione di Piazza Municipio affidata a Canino, piazzale Tecchio e la ricostruzione della Mostra d’Oltremare. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Eccellenti architetti che seguivano linee culturali che spaziavano dal classicismo critico di Canino al razionalismo di Cocchia e De Martino all’organicismo di Cosenza e De Luca, producevano, malgrado il laurismo, <span> </span>opere significative che hanno retto il tempo, come la stazione di piazza Garibaldi, il Politecnico , il Monaldi,<span> </span>la Rai. <span> </span>E soprattutto, nel campo delle case popolari la qualità dei nuovi quartieri ebbe riconoscimenti nazionali indiscussi.<span> </span>Proprio quei quartieri, realizzati massimamente col piano Ina-casa, sono stati documentati da una mostra della Soprintendenza nel 2006 a cura di Ugo Carughi e nella quale Lilia Pagano ed io curammo la sezione cittadina.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">In definitiva penso che più che fare graduatorie tra gli anni peggiori della Napoli moderna, sia utile ripensare i modi per una rinascita del senso di appartenenza a un bene collettivo qual è la nostra città con le sue parti storiche cosi come con quelle periferiche entrambe bisognose di amorevoli cure. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">( pubblicato su "Il Corriere del Mezzogiorno" del 12.1.2011</span></span>) </span></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-75348239031042122162010-12-26T04:43:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.961-08:00Gricignano park<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_HGEIEj5FCO0/TRdsKn8w5MI/AAAAAAAAAB0/YpbMwDCczA4/s1600/immag+03.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="203" src="http://1.bp.blogspot.com/_HGEIEj5FCO0/TRdsKn8w5MI/AAAAAAAAAB0/YpbMwDCczA4/s320/immag+03.jpg" width="320" /> </a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_HGEIEj5FCO0/TRc2rkhBukI/AAAAAAAAABs/nEvK4SV0QOE/s1600/fig04%2B.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="257" src="http://1.bp.blogspot.com/_HGEIEj5FCO0/TRc2rkhBukI/AAAAAAAAABs/nEvK4SV0QOE/s400/fig04%2B.jpg" width="400" /></a></div><br /><b>Gricignano Park</b><br />Più che andare oltre la città vorrei tornare dentro di essa e capire come trasformarne le parti peggiori soprattutto nella disgraziata periferia. Non era inevitabile rompere la città. Più che le teorie moderne degli anni trenta responsabili di modelli urbanistici in fuga dalla città, è stata la rottura degli anni settanta in Italia, a partire dalle 167, a distruggere definitivamente il nostro tradizionale equilibrio urbano. La scommessa oggi, come dice Rogers non dipende più dal modo in cui sono fatti gli edifici, una versatilità tecnologica è ampiamente disponibile per i progettisti, ma dipende dalla loro capacità di costruire un ambiente urbano vivibile. E’ una questione prima culturale e poi politica perché la città è soprattutto un dominio pubblico. <br />Gricignano park è un progetto teorico di zolla residenziale in espansione urbana.<br /><br />Nell’ottica di un’auspicabile dimensione metropolitana della città Napoli si è studiato un nuovo polo residenziale nelle campagne intorno al paese di Gricignano d’Aversa ricche di grandi superfici coltivate e di un attivo collegamento ferroviario che la unisce con Napoli in 30 minuti. Tale collegamento ha stimolato la recente nascita di una cittadella militare Nato, traslocata da Bagnoli. <br />In vista di rintracciare potenziali aree fuori i confini della città, abbiamo studiato, evitando il modello della città di fondazione un’espansione che potesse avvantaggiarsi della struttura urbana di Gricignano (10.000 abitanti) e nel contempo costituire una potenzialità di vita per i napoletani.<br />L’insediamento rispetta il tracciamento di Gricignano e la centuratio dell’Ager campanus. La zolla residenziale occupa un quadrante della centuratio agricola (720x720 mt.) ad oriente del paese verso Succivo.<br />L’impianto della zolla, che risente della rigidità del modello, estende tre assi come decumani (est-ovest) e suddivide attraverso nuovi cardi la centuria in strisce pari a 1/8 (90x360 mt.). I nuovi decumani sono trattati come viali alberati e strade commerciali mentre i cardi restano vie residenziali. Le strisce misurano l’intervento e dal loro accoppiamento o destinazione sono ricavate tutte le funzioni urbane: alcune sono pubbliche e trattate interamente a verde e contengono attrezzature scolastiche e servizi pubblici, altre sono accoppiate a due formano gli isolati. Questi si caratterizzano con quattro lotti attestati intorno ad un parco centrale con servizi alla residenza. I lotti residenziali contengono circa 90 alloggi con parcheggi in superficie ed interrati mentre le testate sui viali hanno piani terra commerciali.<br />La densità abitativa è di circa 400 ab/ha, con edifici da tre a cinque piani, cui corrisponde una densità territoriale di circa 200 ab/ha. La morfologia dell’edificazione è libera e composita, lo studio ha approfondito alcuni riferimenti sull’impianto come il quartiere Lafayette park a Detroit di Mies e Hilberseimer, sulla varietà tipologica e di paesaggio come quelli sviluppati da Bakema e Van den Broeck nei polder olandesi; approfondito tipologie a grande e piccola corte come la vicina siedlung Alfa Romeo a Pomigliano e l’antica domus elementare.<br /><br /><div style="font-family: "Courier New",Courier,monospace;">pubblicato su "Community/Architecture", a cura di E.Prandi, FAE, Parma, 2010</div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-88240487237371759562010-12-24T07:50:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.971-08:00Formazione post-laurea: tirocini e stage<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:TrackMoves/> <w:TrackFormatting/> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> 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style="font-size: 14pt;">Mai<span> </span>come oggi<span> </span>la formazione post- laurea ha interessato cosi tanti laureandi e laureati;<span> </span>oltre il 50% frequenta tirocini o stage<span> </span>dentro o fuori l’università, mentre vengono sempre più<span> </span>trascurati masters e dottorati: questo in estrema <span> </span>sintesi il quadro che emerge dall’inchiesta Alma Laurea 2010 di cui parleremo meglio in seguito. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">E’ evidente che da un lato il valore reale della laurea si è ridotto notevolmente e poco serve per entrare nel mondo del lavoro, dall’altro, il mercato ha innalzato le sue richieste e chiede specializzazioni <span> </span>e professionalità che<span> </span>la laurea non<span> </span>riesce ad offrire: insomma una laurea che si dequalifica e un mondo del lavoro poco disposto a<span> </span>investire in tempo e soldi per la formazione dei suoi dirigenti e tecnici.<span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Conferme <span> </span>arrivano da più parti. In una recente intervista giornalistica diversi</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;"><span> </span>“ cercatori di cervelli” per conto di grandi aziende di livello europeo, raccontavano come essi non ritenessero più come importante il voto di laurea o il regolare corso degli studi ma soprattutto cercassero giovani laureati con<span> </span>frequenza di stage in azienda e formazione pluri-diretta anche fuori il campo specifico dei loro studi universitari. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">In questo quadro che <span> </span>statistiche e autorevoli opinioni <span> </span>confermano cosi come le frequenti <span> </span>disillusioni pubbliche<span> </span>che molti giovani affidano ai media,<span> </span>va aggiunto <span> </span>che l’università sembra molto più preoccupata di se stessa<span> </span>come struttura che della validità della formazione che offre e della sorte dei <span> </span>suoi laureati.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">L’università appare schiacciata<span> </span>come non mai da tensioni opposte tese da una parte ad una sua re-interpretazione<span> </span>quale azienda speciale di ricerca e formazione di eccellenza e dall’altra quale scuola di massa con profili soprattutto didattici. Ridimensionata da<span> </span>significative, anche se non drastiche,<span> </span>riduzioni di soldi pubblici e di docenti, essa è<span> </span>intrappolata da logiche rivendicative, da lobbies professorali,<span> </span>da impermeabilità a valutazioni esterne ad essa intorno ai <span> </span>metodi di promozione dei suoi dirigenti (lo sono tutti i professori) e dei risultati conseguiti nel mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca. Una risposta, già in corso in alcune realtà del nord est, <span> </span>è la creazione di poli universitari<span> </span>con<span> </span>enti pubblici territoriali,<span> </span>aziende e mondo bancario. Una specie di uscita dall’ambito pubblico verso un ambito pubblico-privato teso a superare la riduzione dei finanziamenti, attrarre studenti, mettersi in concorrenza con altre università<span> </span>in una prospettiva federalistico – territoriale che probabilmente lascerà al palo le università “ tutte pubbliche”.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Appare quindi molto sfasato l’attuale dibattito sui modi del<span> </span>rinnovo della docenza e della <i>governance</i> dell’università<span> </span>pubblica che<span> </span>non sarà <span> </span>sufficiente ad arrestare l’attuale degrado del valore della laurea dimostrato dalla crescente richiesta di ulteriore formazione <span> </span>postlaurea sui cui<span> </span>l’Università <span> </span>pubblica poco investe.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Ogni facoltà e ogni Ente fa da se in questo campo post laurea, <span> </span>dove mancano politiche e criteri <span> </span>nazionali di verifica della qualità, degli obiettivi proposti e<span> </span>raggiunti e dei costi complessivi. <span> </span>E’ veramente difficile per un laureato scegliere un master o uno stage, valutare la sua utilità, capire se gli obiettivi proposti sono frutto di retorica <span> </span>propagandistica o vicini alla <span> </span>realtà. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Purtroppo i dati disponibili sulle università italiane ( Alma Laurea 2010) non raccontano la qualità dei<span> </span>masters o degli stage o dei dottorati<span> </span>ma solo quella dei tirocini obbligatori. Nemmeno è monitorata la qualità ed i risultati occupazionali dei Corsi di formazione professionale che, notoriamente ben finanziati dalla politica,<span> </span>sono gestiti dalle Regioni. </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Nelle università<span> </span>i tirocini sono organizzati dalle facoltà sia all’interno che all’esterno <span> </span>di essa con apposite convenzioni che di solito prevedono<span> </span>un monte ore<span> </span>tra 250 e 400. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Il tirocinio obbligatorio, di tipo formativo e di orientamento, <span> </span>viene riconosciuto con circa 9 crediti, al pari di <span> </span>un esame importante. La scelta degli studenti è orientata a privilegiare i tirocini esterni in aziende pubbliche, private, Ordini,<span> </span>evitando <span> </span>invece quelli interni poco qualificanti perché tenuti dagli stessi docenti che fanno didattica. <span> </span><span> </span>Naturalmente ci sono eccezioni<span> </span>e situazioni come <span> </span>le Cliniche e le facoltà con Laboratori conto terzi. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Ad architettura<span> </span>per esempio<span> </span>pochi scelgono i tirocini all’interno delle facoltà, circa il 9%, mentre<span> </span>il 18% sceglie<span> </span>quelli in<span> </span>Enti pubblici e la maggioranza, circa il 65%, opta per quelli<span> </span>in aziende private /studi professionali;<span> </span>quasi nessuno sceglie gli Enti di ricerca<span> </span>anche perché sono mosche bianche.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Sorte infelice sta accadendo ai <span> </span>dottorati di ricerca, formazione d’eccellenza nella ricerca universitaria e <span> </span>una volta <span> </span>banco di prova della qualità di una facoltà e dei suoi docenti. La riduzione delle borse di studio, <span> </span>la poca ricerca <span> </span>praticata dai dottorandi “senza borsa” e l’inutilità<span> </span>pratica<span> </span>del titolo al di fuori dell’università <span> </span>stessa, stante la mancanza di Enti di ricerca sul mercato, li hanno trasformati in <span> </span>una specie di scuola di formazione magistrale per futuri docenti ed,<span> </span>in attesa,<span> </span>in piccolo sostegno <span> </span>didattico a professori <span> </span>ormai privi da tempo di <span> </span>assistenti.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Incredibilmente anche i masters<span> </span>hanno vita difficile<span> </span>anche se ritengo che i dati nazionali non riflettano e oscurino <span> </span>singole valide esperienze di alta qualità; ma la variabilità<span> </span>e<span> </span>spesso l’evanescenza dei loro contenuti, in mancanza di<span> </span>riscontri nazionali e di un certo<span> </span>valore d’uso,<span> </span>ne hanno fatto perdere di molto l’appeal.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Se si guarda all’offerta formativa appare evidente che sono <span> </span>poco credibili quei masters che propongono formazione in campi dove<span> </span>il territorio di appartenenza <span> </span>della facoltà non eccelle, dove non si riscontrano aziende innovative interessate, o dove la qualità della proposta si regge su figure di spicco non di stabile presenza. Ogni facoltà ha la chiara percezione in quali masters<span> </span>potrebbe <span> </span>eccellere anche <span> </span>sul piano di una concorrenza nazionale, ma essa <span> </span>non esercita politica di indirizzo né di coordinamento per lo meno regionale; <span> </span>il suo compito sembra limitarsi alle lauree ed è già segno di qualità se non attiva lauree strampalate o prive di una struttura <span> </span>stabile di insegnamento.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Sugli stage mancano dati statistici sulla<span> </span>frequenza e sulla qualità, e questo è già un dato significativo; essi riguardano i laureati<span> </span>che svolgono attività senza compenso, in aziende convenzionate con l’università per un periodo da tre a sei mesi. Non ci sono inchieste sull’uso effettivo di questi laureati, si dice che lo stage incrementa le possibilità occupazionali di un 6%. Occorrerebbe una <span> </span>certificazione di qualità delle aziende che impiegano gli stagisti, unica garanzia di un apprendistato spendibile sul mercato.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Circa il 45 % dei <span> </span>laureati architetti si inserisce <span> </span>in un mondo professionale di <span> </span>140.000 professionisti: la più alta concentrazione europea di architetti per abitante. Ma<span> </span>a tale grandissimo numero vanno aggiunti - l’Italia è l’unico paese europeo ad avere cosi tante figure che si occupano di edilizia - gli ingegneri edili, i nuovi ingegneri-architetti,<span> </span>i geometri. Vanno ancora sommati i nuovi arrivati con le lauree triennali, architetti e ingegneri che, <span> </span>in mancanza di una chiara normativa circa le loro competenze professionali -<span> </span>un colpevole lassismo del Ministero e degli Ordini - <span> </span><span> </span>esercitano, di fatto, il mestiere privato dell’architetto quinquennale.<span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">I dati<span> </span>disponibili sulla<span> </span>formazione postlaurea<span> </span>dal 2002 al 2009 ( AlmaLaurea 2010) <span> </span>ad Architettura mostrano un<span> </span>notevole trend di crescita dei<span> </span>tirocini e degli stage<span> </span>arrivati <span> </span>ad una percentuale di<span> </span>tirocinanti <span> </span>pari al <span> </span>17% <span> </span>dei laureati, <span> </span>di stagisti pari al 21 %, mentre è sorprendente<span> </span>il trend in continua discesa nella scelta dei dottorati <span> </span>( 5% ), dei masters ( 4%) e dei Corsi di formazione professionale ( circa 10%.). </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Vale la pena infine<span> </span>fare qualche osservazione sull’Esame di Stato, primo passo che dall’Università porta nel mondo del lavoro e alla iscrizione negli albi professionali. <span> </span>E’ noto che <span> </span>tutti i laureati lo sostengono quanto prima possibile e vagano da sede in sede per poterlo superare più agevolmente. Ad alcune professioni viene richiesto prima dell’Esame, un tirocinio professionale che, nel caso degli avvocati, raggiunge i due anni.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">L’esame <span> </span>di stato è gestito malissimo da Università e Ordini, quasi <span> </span>espressione di un retaggio corporativo reso ancora più difficile, in teoria, con addirittura 4 prove da svolgere dall’ultima legge organica<span> </span>n.328/2001. <span> </span>La cattiva e irresponsabile gestione dell’esame ( commissione composta da 5 membri, tre proposti<span> </span>dagli Ordini e due, compreso il Presidente, proposti dall’Università)<span> </span>consente l’iscrizione all’Albo, ed è il prodotto di un totale disinteresse formativo. Nessuna seria preparazione viene fornita su <span> </span>materie prettamente professionali come<span> </span>legislazione, normative<span> </span>e <span> </span>tecnica. In compenso, ad onta delle 4 prove, e con colpevole cinismo soprattutto in un mestiere come l’architetto che costruisce nel e per il sociale, la gran maggioranza dei laureati lo supera senza aver fatto in sostanza<span> </span>una minima pratica in studio. </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">I dati statistici forniti da Alma Laurea fotografano una<span> </span>realtà di laureati<span> </span>che si sta orientando <span> </span>diversamente dalle principali <span> </span>proposte di formazione post laurea delle Università pubbliche. Essi cercano formazione specialistica e apprendistato e poco<span> </span>sono attratti dalle offerte standard delle Università,<span> </span>come dottorati e masters,<span> </span>ed è evidente che è necessaria una diversa politica sulla<span> </span>formazione:<span> </span>il pezzo di carta non serve più e il valore legale del titolo di studio si è quasi liquefatto. Considerando poi che le aziende <span> </span>non hanno più voglia di investire, come una volta, tempo e denari per formare manager e tecnici e li vogliono “pronti all’uso”. Il <span> </span>necessario completamento della<span> </span>formazione ricade, alla fine, sui singoli laureati, mentre le università pubbliche non solo non adeguano i contenuti dei corsi di laurea<span> </span>per una migliore spendibilità del titolo nel<span> </span>mercato del lavoro ma <span> </span>poco si impegnano <span> </span>nel nuovo mercato della formazione post laurea <span> </span>ritenendo quest’ultimo marginale alla loro funzione pubblica. </span></div><div class="MsoNormal"><br /></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5179737515203117888.post-4725855565906477872010-12-24T07:29:00.000-08:002014-01-02T12:18:27.985-08:0010 milioni per un'opera d'arte , 100 milioni per una stazione<div class="navbar section" id="navbar"><div class="widget Navbar" id="Navbar1">Pubblicato sul CORRIERE DEL MEZZOGIORNO , 22.12.2010<br />di Sergio Stenti</div><div class="widget Navbar" id="Navbar1"></div></div><div class="content"><div class="content-outer"><div class="fauxborder-left content-fauxborder-left"><div class="content-inner"><div class="main-outer"><div class="fauxborder-left main-fauxborder-left"><div class="region-inner main-inner"><div class="columns fauxcolumns"><div class="columns-inner"><div class="column-center-outer"><div class="column-center-inner"><div class="main section" id="main"><div class="widget Blog" id="Blog1"><div class="blog-posts hfeed"><div class="date-outer"><div class="date-posts"><div class="post-outer"><div class="post hentry"><div class="post-body entry-content"><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;"><br /></span><br /><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Quando si inaugurerà la stazione del Metrò Università, non sarà attivo ciò che immaginiamo, il collegamento diretto Piscinola –Rettifilo. Sotto la pancia del gigantesco cavallo del re Vittorio Emanuele II, padre della patria, appena posto al centro di piazza Borsa, non scorreranno i convogli della metropolitana ma solo una navetta con partenza da piazza Dante e con nessuna fermata intermedia.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Scavare con la Talpa in zona archeologica costa enormemente in termini di soldi, di ritardi sui tempi, di riprogettazione delle stazioni e di sorprese non sempre positive. Comporta anche grandi occasioni di studio, di recupero di reperti antichi sepolti, di sperimentazioni architettoniche e di riqualificazione urbana nei dintorni. Le stazioni ipogee a Napoli sono state anche un’occasione di produzione di arte pubblica che nelle intenzioni di Mendini e Bonito Oliva sono servite e servono a costruire un museo sotterraneo di arte contemporanea. Un eccezionale successo di critica e di pubblico ha accompagnato le 14 stazioni costruite della linea 1 ( costo medio € 60 mln/stazione e 65 mln/Km) in parte oggi compromesso da una perdita di misura che sembra caratterizzare le nuove stazioni in costruzione.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Da un trinomio arte+architettura+design che ha segnato le stazioni dell’arte, si sta passando ad un binomio arte+design mettendo fuori gioco l’architettura e le sue ragioni pratiche.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Alcune nuove stazioni tendono, infatti, a diventare esse stesse opere d’arte, superando il confine tradizionale tra architettura come costruzione con scopi sociali e arte come libero esercizio di sensibilità, legata solo alla biografia dell’artista.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Tale slittamento non solo pone questioni intorno al significato dell’attività artistica, sulla quale da sempre si interroga chi progetta , ma pone anche problemi di responsabilità di chi decide, di quale rapporto col pubblico ricercare , di quale coinvolgimento praticare, dato che parliamo di opere finanziate con soldi pubblici e non fatte per “ il piacere del principe”.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">La questione del significato del progetto artistico ha una sua importanza perché è sotto gli occhi di tutti lo slittamento che sta avvenendo nelle opere pubbliche: da proposta razionale e sociale condivisa a simulacro, a oggetto urbano dotato di forte immagine emozionale, a landmark. La strada per la notorietà e il successo dei progettisti passa per l’accondiscendenza al mercato e alle sue regole di marketing.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Tale nuova focalizzazione fa perdere di vista il contesto dei progetti, il ruolo dei luoghi nei quali si costruisce, i quali non vengono più percepiti come importanti dai progettisti; si attua cioè uno spaesamento contro i luoghi, un tradimento che serve a liberare il progetto dalle regole tradizionali del rispetto del contesto. Un atteggiamento artistico che insegue soprattutto l’immagine emozionale, il gigantesco, il ridondante. Era il 2003 quando l’artista Anish Kapoor progettava come “architetto” la stazione di periferia di Montesantangelo aiutato dallo studio Future system nel primo progetto postmoderno della città.</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">La piccola stazione di Montesantangelo è, a sentire Massimiliano Fuxas la più sexy stazione che si conosca. Un’opera d’arte integrale, un sesso d’acciaio corten. Una scultura a dimensione gigante, un Landmark urbano.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Gli autori e la committenza hanno ancora qualche reticenza a giustificarla come opera d’arte pura; scrivono che l’opera riqualificherà culturalmente il rione Traiano; ma sappiamo che non è cosi, che al rione certo l’arte non fa male ma soprattutto esso ha bisogno di commercio, servizi e parchi. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Conoscere il costo delle stazioni della Metropolitana non è cosa agevole, quando si parla di cifre si trovano solo importi generali non dettagliati; ai costi concorrono molte variabili, la scelta del tipo , metropolitana leggera o pesante, ma soprattutto la presenza di strati archeologici. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Ma seppure con una certa approssimazione il costo stimato della stazione di periferia di Montesantangelo (un costo medio per una stazione di periferia , a Torino come a Napoli, è di circa 35 mln di euro) è circa 100 milioni di euro, di cui oltre 10 milioni solo per le due opere d’arte. E’ come se invece di costruire al Traiano un discreto Auditorium ( penso a quello di Ravello ) si fosse scelto di realizzare una scultura gigante per stimolare la cultura degli abitanti. </span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Qui si mostra ciò che si diceva a proposito delle responsabilità delle scelte pubbliche per l’arte.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">La stima del costo previsto da parte di Achille Bonito Oliva fu ritenuta oltremodo vantaggiosa per l’amministrazione pubblica e congruente. Senza metter in dubbio valutazioni artistiche è difficile accettare congruenze di costi per una merce che non si può vendere e che è soprattutto forma e immagine seppure di acciaio. Ma forse, alle strette, potremmo sempre venderla, sezionandola, a qualche museo o Emirato arabo o città americana. </span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Per lo stesso costo medio stiamo costruendo cinque stazioni nel centro storico, Toledo, Università, Municipio e Garibaldi che saranno pronte fra un paio di anni. Ma lì almeno le questioni archeologiche e la continua riprogettazione sembrano giustificarne l’alto costo.</span></div><div class="MsoNormal"><span lang="IT" style="font-size: 14pt;">Discorso a parte si deve fare per la futura stazione di piazza Garibaldi che affronta con forza la riqualificazione dell’incompleta piazza. La scelta però di costruire un centro commerciale interrato, coperto da una gigantesca pensilina in vetro che occupa circa mezza piazza pone notevoli interrogativi circa la necessità di occupare altro spazio urbano per privatizzarlo a uso commerciale, a fianco di un altro centro commerciale ricavato nella stazione della Ferrovia. </span></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><footer></footer><br /><div class="footer-outer"><br /><div class="footer-cap-bottom cap-bottom"></div></div></div><div class="content-cap-bottom cap-bottom"></div></div><br /></div></div></div></div>sergio stenti http://www.blogger.com/profile/04617705435898714652noreply@blogger.com0