Le storiche facoltà di Architettura del Mezzogiorno d’Italia, Napoli e Palermo stanno per scomparire.
Nate oltre mezzo secolo fa, nel 1928 quella di Napoli e nel 1944 quella di Palermo, queste facoltà sono destinate ad essere inglobate da Ingegneria se non interverrà un cambiamento nelle decisioni dei rispettivi Atenei .
A prima vista la decisione non è l’effetto di una politica culturale e di formazione universitaria nazionale, ma è il risultato, il “combinato disposto” di due provvedimenti burocratici che mirano alla riduzione delle spese della Università pubblica italiana: la legge Gelmini e i nuovi statuti degli Atenei attualmente in approvazione.
Cosi, senza scelte motivate da ragioni culturali e di prospettiva e senza alcun dibattito pubblico, decisioni amministrative e di risparmio economico sconvolgono assetti storici sedimentati che hanno prodotto la figura e il sapere dell’architetto moderno: uno sforzo collettivo nazionale per formare una figura intellettuale e professionale in grado di rispondere alle richieste di valore architettonico degli edifici, di qualità urbana, di dialogo con le stratificazioni storiche delle nostre città e di attenzione al paesaggio che non appartiene a nessun altro campo di studi universitari.
Le proteste culturali per simili scelte cominciano a emergere. E’ di pochi giorni fa un accorato appello pubblico di Vittorio Gregotti per un ripensamento virtuoso sulla soppressione della facoltà di architettura di Palermo e spero vivamente che anche da noi i molti architetti/ docenti spendano il loro carisma per sventare un provvedimento amministrativo dal sapore anacronistico e anticulturale.
Hanno insegnato nella nostra Facoltà molti importanti architetti di livello nazionale e spesso hanno arricchito la nostra città delle loro opere. Luigi Piccinato, Marcello Canino, Carlo Cocchia, Giulio De Luca, Roberto Pane, Nicola Pagliara, Aldo L. Rossi, Uberto Siola, Massimo Pica Ciamarra, solo per citarne alcuni. E voglio solo notare che la Mostra d’Oltremare non sarebbe esistita con le sue splendide architetture se non ci fosse stata la facoltà di Architettura con i suoi giovani docenti cosi come non avremmo quei quartieri popolari degli anni cinquanta e sessanta che riviste italiane e straniere di quel periodo tanto hanno ammirato e visitato.
Staccatasi dall’Accademia di Belle Arti nella quale era nata, Architettura si è costituita come sintesi tra una formazione storica, artistica e tecnica, con un percorso affatto diverso dalle altre scuole europee in quanto rifletteva, fin dalle sue origini, la specificità della cultura architettonica ed urbana italiana.
Dopo due decenni di sperimentazioni universitarie anche Architettura ha sommato molti errori: troppi Corsi di Laurea, difesa ad oltranza della corporazione dei docenti, poca apertura alle innovazioni , troppi laureati , ma la unicità della Facoltà ha garantito e garantisce una dialogo ed un confronto critico sulle senso e le finalizzazioni del suo operare che è indispensabile al suo avanzamento.
Bisognosa di aggiornamenti nei contenuti e nei metodi piuttosto che di “governance”, la sua sopravvivenza è messa in serio pericolo dall’assoggettamento al forte e diverso campo del sapere tecnico- scientifico degli studi di Ingegneria.
Viviamo tempi di progressive settorializzazioni del sapere, di specializzazioni, di osmosi tra discipline diverse, di globalizzazioni, ma è importante non perdere in specificità storica e in appartenenza alla cultura del luogo che è poi il carattere di sempre della buona architettura.
Noi siamo l’unico paese europeo che ha consentito a tutti di costruire, dai geometri ai periti edili, agli ingegneri chimici, tanto che solo il 5% degli edifici italiani è progettato dagli architetti .
Ma se questa diversità italiana era accettabile nel periodo della ricostruzione post-bellica ora questa pratica, cambiata di pochissimo, è dannosissima perché continua a tenere bassa la qualità delle costruzioni con figure professionali formate per altri scopi.
La più grossa scommessa che noi oggi abbiamo in Italia è riqualificare la nostra immane e invivibile periferia del secondo Novecento. Per questo compito gli architetti sono chiamati a dare un contributo civile formidabile, un contributo che si misura solo sulla qualità delle proposte, sulla base di una visione umanistica che esprima idealità civili per un’arte che è al servizio della gente.
(Repubblica Napoli 27.07.2011)
Nessun commento:
Posta un commento